Coronavirus. Franco Cimino: "Perchè muoiono i poeti?"

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Franco Cimino
  16 aprile 2020 19:04

di FRANCO CIMINO

Mentre l’attuale classe politica si attacca sempre più alle polemiche più feroci e agli insulti di corredo, gli italiani sono divisi tra i migliaia che negli ospedali sono attaccati alle diverse macchine, che li aiutano a respirare, e i milioni di fortunati che, protetti dalle loro case, si attaccano ai numeri giornalieri. Sono quelli che, ogni giorno, dopo le diciassette, cerchiamo nei tg. Quanti sono i nuovi contagiati, quanti i guariti e i dimissionati. Soprattutto, quanti sono i nuovi morti. Mentre gli altri numeri, pur contraddittoriamente tra loro, stanno progressivamente scendendo, allargando la speranza, l’ultimo numero resta drammaticamente stabile, seicento al giorno. E da lì non si schioda, perdinci!

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Stamattina, ci siamo svegliati con la notizia di una sola morte, che però pesa molto e non ci rassicura per niente. È giunta da una piccola città della Spagna, Oviedo, la città nella quale da tempo il viandante per amore della libertà si era piacevolmente “rifugiato”. Luis Sepùlveda ha ceduto la sua vita al coronavirus, contratto, ironia della sorte, un mese fa, in Portogallo, in occasione di un festival letterario. Non voglio parlare di lui in questo articolo, non del combattente contro la dittatura nel suo Paese, il Cile, del rivoluzionario e poeta della bellezza, o ancora dell’ecologista, non dello scrittore celebrato in tutto il mondo ed anche dalla critica(non tutta in verità). Non voglio parlare, in una società divenuta luogo dell’ingiustizia diffusa, neppure del “ cronista degli ultimi”, come lui amava semplicemente definirsi, o come l’appartenente a quell’esercito di pacificatori d’amore, tanto gradito a Francesco, il Papa. Parlo del dolore, che una morte come questa aggiunge al nostro precedente per quel numero di morti giornaliere che registriamo con il cuore lacerato. Una morte, solo una, di chiunque, specialmente se di un vecchio subita nella più ingiusta solitudine, spezza il cuore e impoverisce tutto il genere umano.

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Ma quando questa coglie un artista, un genio, un pittore della vita più profonda, poeta, scultore, musicista e pittore che sia, la perdita pesa molto e si misura con una sola domanda. Questa: “quante altre opere sarebbe riuscito a donarci ancora e di quale altra sconosciuta profondità, capace di farci godere, riflettere, cambiare noi stessi e il nostro cortile? “ È come quando scompare un amico. Non dico un padre, ma un amico, sì. L’animo ti si svuota e nella mente insorge una sorta di paura. Una strana paura, come se ti perdessi per la via di casa, che è il mondo in cui vorresti andare o la stessa casa, dimora degli affetti e rifugio protettivo. Io che sono un credente, poi, di domande me ne pongo altre due. Queste: Se il genio creativo, l’essere umano più vicino alla creatività del Padre, è stato “ mandato” per darci quella prova dell’esistenza di Dio, che sempre con la ragione laica cerchiamo, quando anticipatamente va via da qui, è per quale decisione che abbia a che fare con la precisa volontà del Sommo Creatore?". E ancora: “Cosa pensa( in questo caso, cos’ha pensato Sepùlveda)cosa dice e cosa avrebbe ancora scritto nel momento della percezione del suo andare, il genio che muore? Cosa della paura e della speranza della morte e di ciò che essa reca con sé?".

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Ecco di loro mi piacerebbe sapere questo. E di quest’ultima immensa partenza, quelle parole che Luis non ha potuto scrivere. 

 

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