“Gli operatori in divisa sono chiamati a esporsi in prima persona ai danni alla salute per il coronavirus e le violenze che presto esso scatenerà, non ricevono le tutele necessarie, e adesso i loro vertici vogliono lavarsi le mani di ogni eventuale danno che potranno subire, e che evidentemente non è una remota possibilità. Ai tempi dell’emergenza, in cui non si fa che ribadire che solidarietà e sostegno reciproco sono indispensabili, ecco cosa accade al personale in divisa. Noi offriamo tutto il sostegno possibile alla popolazione, né potremmo mai tirarci indietro davanti ai nostri doveri. Le Istituzioni ci rispondono: bravi, ma se vi ammalate, rimanete feriti o morite, in questo periodaccio sono problemi solo vostri. E’ una vergona”.
Lo afferma Valter Mazzetti, Segretario Generale della Federazione Fsp Polizia di Stato, che ha scritto al ministro Luciana Lamorgese, al capo della Polizia, Franco Gabrielli, e ai gruppi parlamentari, dopo la decisione della IV Commissione Difesa del Senato che, nell’ambito dei lavori per la conversione in legge del d.l. 17 marzo 2020, nr. 18, ha approvato un emendamento con il quale, in pratica, si concede l’immunità in sede civile e penale al datore di lavoro, dirigente e preposto appartenenti alle amministrazioni del “Comparto Sicurezza e Difesa”, per la durata dello stato di emergenza epidemiologica da Covid19.
“Da quando è iniziata questa drammatica emergenza – afferma Mazzetti -, abbiamo sentito più che mai il senso di responsabilità anche di fronte a tutti i pesanti aggravi del già delicatissimo lavoro dei poliziotti, nonché al fatto che i materiali e le altre attività di prevenzione per loro sono scarsi e inadeguati. Ma il vergognoso passo compiuto adesso in direzione di uno ‘scudo penale e civile’ che tuteli i datori di lavoro degli appartenenti al Comparto sicurezza e difesa non possiamo accettarlo. Pretendiamo che l’emendamento approvato venga cassato. Questo intollerabile ‘armiamoci e partite’ è un’offesa a migliaia di donne e uomini che stanno rischiando la salute e la vita propria e delle loro famiglie. C’è un limite di decenza oltre il quale non si può e non si deve andare”.
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