di EDOARDO CORASANITI
Non c'è altra misura possibile: il Tribunale di Palmi ha sostituito il carcere con gli arresti domiciliari a Renato Licastro, imputato nel procedimento anti 'ndrangheta Iris.
Difeso dagli avvocati Guido Contestabile e Francesco Calabrese, Licastro è accusato di fare parte della cosca Alvaro, operanti sul territorio di Oppido Mamertina, Sinopoli, Delianuova e Cosoleto.
Sono le sua condizioni di salute a preoccupare i suoi legali, consapevoli dei problemi cardiocircolatori e diabetici che affliggono il sinopolese. I giudici della Corte d'Appello mettono nero su bianco la salute precaria e i rischi di contagio da Coronavirus, fattori che non permettono di continuare la permanenza nell'istituto di Secondigliano (Napoli) dove era recluso.
Secondo i magistrati, inoltre, non è opportuno il ricovero presso una struttura ospedaliera, evidentemente impegnata al contrasto del Covid19.
Anche questo provvedimento, come quelli di altri tribunali, mira a tutelare la salute di un detenuto. Il carcere, luogo di rieducazione e reinserimento oltre che di sanzione, non è così "sicuro" come qualcuno vuol far credere. Anche perché una diffusione del virus negli istituti di pena provocherebbe una vera e propria e strage.
In mezzo, oltre al Coronavirus, c'è un altro male che affligge i detenuti: il sovraffollamento oggettivo, constatato da numeri e da dati.
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