di MANUELA CORRERA
L'altissimo numeri di contagi da nuovo coronavirus in Lombardia, ed in particolare nell'area della Pianura padana, potrebbe essere legato, anche se in parte, anche all'inquinamento atmosferico ed alle polveri sottili, che fungono da 'acceleratori' dell'infezione veicolando il virus.
E' quanto emerge da uno studio condotto dalla Società di medicina ambientale (Sima) con le Università di Bari e Bologna. Il particolato atmosferico, si afferma nello studio, costituisce un substrato che può permettere al virus di rimanere nell'aria in condizioni vitali per un certo tempo, nell'ordine di ore o giorni.
Così, "alte concentrazioni di polveri fini a febbraio in Pianura padana hanno esercitato un'accelerazione anomala alla diffusione virulenta dell'epidemia". La letteratura scientifica già descrive il ruolo del particolato atmosferico quale efficace "carrier", ovvero vettore di trasporto e diffusione per molti virus. Il gruppo di ricercatori ha quindi esaminato i dati pubblicati sui siti delle Arpa - le Agenzie regionali per la protezione ambientale - relativi a tutte le centraline di rilevamento attive sul territorio nazionale, registrando il numero di episodi di superamento dei limiti di legge (50 microg/m3 di concentrazione media giornaliera) nelle province italiane. Parallelamente, sono stati analizzati i casi di contagio da COVID-19 riportati sul sito della Protezione Civile.
Dall'analisi si è evidenziata una relazione tra i superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di PM10 registrati nel periodo tra il 10 e il 29 febbraio e il numero di casi infetti da COVID-19 aggiornati al 3 marzo. In Pianura padana si sono osservate le curve di espansione dell'infezione che hanno mostrato accelerazioni anomale in evidente coincidenza, a distanza di 2 settimane, con le più elevate concentrazioni di particolato atmosferico.
Proprio le alte concentrazioni di polveri sottili hanno esercitato un'azione di 'boost', cioè di impulso alla diffusione virulenta dell'epidemia, come sottolinea Leonardo Setti, ricercatore del dipartimento di Chimica dell'Università di Bologna: "Le alte concentrazioni di polveri registrate nel mese di febbraio in Pianura padana hanno prodotto un'accelerazione alla diffusione del COVID-19. L'effetto è più evidente in quelle province dove ci sono stati i primi focolai".
Ciò significa, afferma Gianluigi de Gennaro, ricercatore al dipartimento di Biologia dell'Università di Bari, che le polveri "stanno veicolando il virus. Fanno da carrier. Più ce ne sono, più si creano autostrade per i contagi. È necessario ridurre al minimo le emissioni, sperando in una meteorologia favorevole". "In attesa del consolidarsi di evidenze a favore dell'ipotesi presentata, in ogni caso la concentrazione di polveri sottili potrebbe essere un possibile indicatore indiretto della virulenza dell'epidemia da COVID-19. Inoltre, in base ai risultati dello studio in corso, l'attuale distanza considerata di sicurezza potrebbe non essere sufficiente, soprattutto quando le concentrazioni di particolato atmosferico sono elevate", conclude Alessandro Miani, presidente Sima.
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