Il bilancio si fa sempre più grave: oggi la conta dei morti in carcere arriva a 14. Questa volta riguarderebbe il carcere la Dozza di Bologna. Anche lui deceduto per overdose perché durante le proteste avrebbe preso il metadone dall’infermeria.
Chi conosce la situazione è l'associazione Yairaiha Onlus, che da anni si occupa di garantire diritti e dignità delle persone detenute o private della libertà personale.
"L’urlo di disperazione dei detenuti è partito sabato pomeriggio da Salerno e l’effetto domino non ha tardato ad innescarsi. Da Milano a Palermo le carceri sono in rivolta con un bilancio pesantissimo, provvisorio, di 7 morti nel carcere di Modena, di cui 4 trasferiti agonizzanti, o già cadaveri, in altre carceri e 3 detenuti morti nel carcere di Rieti ieri sera", scrive Yairaiha Onlus ieri (quindi la nota non prende in considerazione le morti che si sono aggiunte).
"Oscure cause e dinamiche, ma è evidentemente anomala la ricostruzione ufficiale che i 7 detenuti si sarebbero impossessati di ingenti quantitativi di metadone nell’infermeria e siano morti di overdose. Ancor più strano è il fatto che un soggetto in overdose venga trasferito in un altro carcere anziché essere soccorso e portato in ospedale. Carrarmati a Palermo; e in tutta Italia le carceri presidiate dai reparti celeri e dall’esercito. Italia 2020 o Cile 1973?
L’intero arco istituzionale sta accampando alibi invocando il pugno di ferro e il ripristino della legalità. La “società civile” condanna fermamente le violenze facendo emergere l’incapacità di leggere quanto sta avvenendo nelle galere. I professionisti della dietrologia hanno già pronto il refrain dei centri sociali e degli anarcoinsurrezionalisti dietro le rivolte dei detenuti. Resteranno delusi perché i detenuti stanno facendo tutto da soli: al loro fianco e sotto le carceri in questi giorni ci sono i familiari a sbattere in faccia ai tutori della legalità i certificati di incompatibilità carceraria e a chiedere di poter curare a casa, al sicuro, il proprio familiare. Chiedono amnistia, indulto, sicurezza e dignità. È una umanità stanca quella delle galere (familiari e detenuti) che fino ad ora ha sopportato la violazione sistematica e quotidiana dei propri diritti. La prevalenza dei giornalisti, come un tripudio di tromboni, a perenne caccia dello scoop, tratta della polveriera carceraria ora che è esplosa senza far trasparire nemmeno un piccolo dubbio sulla ricostruzione sommaria della morte di 10 uomini. Prove tecniche di regime egregiamente superate. Solo in pochi hanno cercato di ricostruire i fatti facendo informazione.
61.230 persone ammassate in 47 mila posti rappresentano il fallimento di uno Stato che non è più tale e che forse non lo è mai stato. Uno stato che per questa umanità non ha mai attuato la Costituzione né prima, da liberi, né dopo, da detenuti. E neanche ora in piena emergenza pandemica. Le uniche misure che questo governo è riuscito ad immaginare per i detenuti vanno ancora nella direzione del castigo: sospensione dei colloqui, delle attività e delle semilibertà. Seguendo la logica di questo governo, per rendere il carcere un ambiente impermeabile al virus, avrebbero dovuto blindare anche agenti e personale all’interno, invece no, hanno sospeso solo l’ingresso dei familiari. Senza valutarne efficacia ed effetti. Un provvedimento che accanto alla paura di contagio diventa la classica goccia che fa traboccare il vaso.
Mentre l’Iran concede 'permessi' a circa 70.000 detenuti per contenere la diffusione del coronavirus, la civilissima Italia pensa di arginare il problema chiudendo i rapporti con l’esterno, probabilmente con l’obiettivo di tenere nascosti gli inevitabili contagi e i decessi connessi, e lasciare mano libera ai reparti speciali di reprimere il disagio usando il pugno di ferro.
Quello che da più parti si sta chiedendo a questo governo è un atto dovuto per il ripristino della “legalità” a partire dall’applicazione dell’art. 47 della Costituzione (la sospensione della pena per i detenuti gravemente ammalati, non solo per i notabili), la sostituzione della misura per i condannati a pene lievi e a quanti sono vicini al fine pena.
Ma le risposte non vanno in questa direzione. E il peso di 10 morti accertati, una ventina di detenuti gravemente feriti, tra cui due in coma, i trasferimenti scriteriati da un carcere all’altro in piena emergenza coronavirus con il rischio concreto di contagio, diverse carceri devastate, sono responsabilità diretta dell’incapacità del governo di attuare la Costituzione ed usare il buonsenso.
10 morti sono una strage. E non si può ammantare con il ripristino della legalità! Non si può ignorare quanto sta succedendo né, tanto meno, liquidare le rivolte come atti criminali. Al vostro immobilismo e chiacchiericcio da bar i detenuti hanno risposto mettendosi in gioco, rischiando, ancora una volta, sulla propria pelle. Chiunque in una tale situazione reagirebbe. Chiunque di fronte alla paura di una lenta e dolorosa agonia in un luogo angusto e senza alcun tipo di assistenza medica tenterebbe di fuggire. Chiunque in preda all’angoscia di andare incontro a morte certa e senza la possibilità di poter salutare i propri cari per un’ultima volta, penserebbe alla rivolta. Di cosa vi stupite? Sono forse da condannare? E no è troppo semplice, caro ministro Bonafede, caro governo, cari benpensanti! Come scriveva Voltaire “Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle proprie carceri”. E queste rappresentano la barbarie. Se la politica fosse realmente fedele al dettato costituzionale mai come ora dovrebbe adoperarsi per una amnistia immediata e generalizzata".
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