Viene pubblicata oggi sul sito una nota della Direzione Centrale Studi e Ricerche dell’Inps che ha analizza le differenze strutturali fra l’insieme dei lavoratori in settori essenziali e settori bloccati (come definiti dal DPCM del 22 marzo), al fine di fornire informazioni al dibattito pubblico e al policy maker.
Utilizzando i dati sull’universo dei rapporti di lavoro della banca dati Uniemens per il 2018, la quota dei rapporti di lavoro in settori essenziali ammonta a circa il 50% del totale, e pertanto il rimanente 50% fa riferimento a lavori bloccati.
La nota mostra che la distribuzione per genere fra i settori essenziali e bloccati è relativamente omogenea, così come la distribuzione per ripartizione geografica. La categoria dei giovani è invece fortemente sovra rappresentata nei settori bloccati (32% vs 21%), mentre la categoria adulti e soprattutto anziani è sovra rappresentata nei settori essenziali. Per quanto riguarda la professione, l’incidenza degli operai (64% vs 53%) e degli apprendisti (7% vs 5%) è decisamente superiore nei settori bloccati e viceversa per gli impiegati e quadri/dirigenti.
Nei settori bloccati vi è anche una marcata sovra rappresentazione dei contratti a tempo determinato (39% vs 27%), del part time (37% vs 31%), e dei lavoratori stranieri (18% vs 14%). Per quanto riguarda i salari totali, cioè percepiti in tutto il rapporto di lavoro nel 2018, si mostra come per i settori bloccati essi ammontino in media a €13.716, circa il 32% in meno dei settori essenziali. Per i salari mediani la differenza è anche maggiore, pari al 58% (8.997 vs 14.239). I salari settimanali medi risultano essere nei settori essenziali il 15% più elevati di quelli dei settori bloccati (512 vs 445), e quelli mediani di circa il 7%.
Per spiegare le differenze osservate fra i salari totali e quelli settimanali occorre tener conto che nei settori bloccati, rispetto ai settori essenziali, vi è un numero di settimane lavorate decisamente inferiore, sia per i valori medi (26 vs 32) che per quelli mediani (23 vs 33). Anche in termini di disuguaglianza essa è più elevata nei settori bloccati, soprattutto in riferimento alla coda bassa della distribuzione, dovuto al fatto che il decimo percentile dei redditi è decisamente inferiore nei settori bloccati rispetto al valore dei settori essenziali.
Le differenze evidenziate nella nota a sfavore dei settori bloccati sono da attribuirsi ad alcuni settori in particolare: costruzioni, alloggio e ristorazione; attività artistiche, sportive e intrattenimento, altre attività di servizi. L’evidenza statistica proposta mostra in modo netto che i lavoratori impiegati nei settori bloccati appartengano alle categorie più deboli della forza lavoro, con salari totali e settimanali e settimane lavorate inferiori, quindi con carriere più frammentate, con una maggiore incidenza di contratti a tempo determinato e part time e con una maggiore presenza di giovani. Pertanto, sotto l’ipotesi che la crisi pandemica in atto colpirà più duramente i lavoratori nei settori bloccati, ciò potrà implicare un ulteriore peggioramento delle dinamiche di disuguaglianza, di povertà sul posto di lavoro (working poor) e di instabilità lavorativa.
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