di TERESA ALOI
Decine e decine di audio. Voci e notizie che si rincorrono all'impazzata su WhatsApp. Pochi minuti dopo la notizia di un paziente positivo al Covid -19 ricoverato nel reparto di Medicina Infettive dell'ospedale "Pugliese" di Catanzaro, è il caos. E la notte anziché portare consiglio porta scompiglio. Ed è caccia all'untore.
Una vera e propria "pandemia", questa sì. Davvero. Costruita sul pettegolezzo, su notizie infondate che cercano, disperatamente, ma non trovano, assolutamente, ufficialità, sulla piazza più globale del mondo: quella di Facebook.
E si fanno danni. Danni seri. Perché si viola uno dei principi cardine della Costituzione italiana: il diritto alla privacy. Quello che è successo ieri è uno dei casi in cui si dovrebbe tutelare più che "informare". Anche perché lo si è fatto male. Anzi malissimo. Tirando in ballo nomi e professioni non solo del paziente, ma anche dei familiari più stretti, con ingiurie e offese di ogni tipo. Mischiando realtà e fantasia. Perché non c'è cosa più antipatica del parlare senza sapere.
Sarebbe bastato, infatti, stare zitti per mostrare la delicatezza che la situazione richiede in questo momento di grande confusione. E non certo alimentare panico e paura, di cui - mai come in questo momento - non si avverte la necessità. E non si venga a dire che esiste un diritto alla libertà di espressione. Perché esistono dei momenti in cui bisogna tenere la bocca chiusa e le tastiere del computer spente .
Quegli audio, quei pettegolezzi, ieri notte, hanno sicuramente "contagiato" più pazienti di quanto stia facendo realmente il virus. Una pagina vergognosa per la città di Catanzaro.
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