Covid e giustizia: rinviare i processi non è la soluzione

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  15 novembre 2020 12:26

La richiesta di sospendere le udienze (tranne quelle per processi indifferibili ed urgenti) formulata dall’Ordine degli Avvocati di Catanzaro, dalla Camera Penale e dai presidenti delle locali associazioni territoriali ai capi degli uffici giudiziari, continua a suscitare in me (ma credo in tanti altri colleghi) forti perplessità. Inutile sottolineare quello che tutti noi – quasi come un incubo - stiamo vivendo in questo delicatissimo periodo delle nostre esistenze: un virus maledetto ha stravolto il nostro vivere quotidiano, semina morte e paura, ci costringe ad attenzioni e precauzioni straordinarie nelle ordinarie relazioni con gli altri. Al tempo stesso, tuttavia, pur nella situazione di grave emergenza sanitaria in atto, vi è la necessità di proseguire nelle attività economiche, imprenditoriali e professionali (ovviamente, con tutte le necessarie misure di protezione), giacché fermare il normale circuito produttivo e dei servizi significherebbe, come unanimemente riconosciuto, arrendersi al virus e provocare un forse irreversibile tracollo economico generale.

Con il virus, in sostanza, si dovrà imparare a convivere fino a quando non si sarà in grado di debellarlo definitivamente attraverso un vaccino, che naturalmente tutti auspichiamo sia pronto e disponibile quanto prima possibile. Ed allora, venendo alla richiesta di sospensione delle udienze formulata, a me pare che essa si ponga su una linea decisamente estrema, che va a conculcare oggettivamente il diritto degli avvocati a proseguire la loro attività professionale e dunque, in definitiva, a lavorare. Se accolta, pur con una soltanto parziale interruzione delle udienze stesse (ma non è chiaro a quali criteri ci si dovrebbe rifare per disporre il differimento o meno dei processi, fatti certamente salvi, nel penale, quelli con detenuti), torneremmo di fatto ad una situazione da lockdown giudiziario (quasi identica, posso supporre, a quella vissuta la scorsa primavera), con il rinvio della gran parte dei processi, alla presenza, per quanto riguarda il settore penale, del solo difensore di ufficio. E fino a quando, poi, si dovrebbe protrarre tutto questo? Non sappiamo. Incertezza sul punto, come incerti, del resto, sono gli sviluppi della situazione emergenziale che stiamo vivendo, pur potendosi immaginare che le nuove, eventuali disposizioni sulle udienze potrebbero mantenere efficacia fino al 31 gennaio 2021, com’è noto termine fissato, ad oggi, per la fine del dichiarato stato di emergenza. Intendiamoci, un confronto con i capi degli uffici al fine di creare le condizioni di sempre maggior sicurezza sanitaria nella celebrazione delle udienze e, più in generale, dell’attività giudiziaria, ottimizzando le misure precauzionali, è necessario ed è anzi in atto. Ma da qui a richiedere, da parte della stessa avvocatura, la decapitazione di gran parte dei ruoli di udienza ce ne corre.

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Voglio, peraltro, evidenziare come l’avvocatura medesima – priva di garanzie di alcun tipo, economiche e non, nel tempo che stiamo vivendo (e il mio pensiero va innanzitutto ai colleghi più giovani) - sia sempre l’anello più debole della complessa e articolata macchina giudiziaria. Solo a titolo di esempio, rilevo che agli avvocati è da diverso tempo interdetto l’accesso nelle cancellerie della Corte di Appello. Chi avesse necessità di recarsi presso quegli uffici, per le usuali attività connesse al mandato difensivo, può rivolgersi soltanto ad un front-office (invero, ripristinato da qualche giorno anche in Tribunale), davanti al quale, com’è facile immaginare, si forma costantemente una fila piuttosto mortificante di colleghi in attesa. E un autorevole collega, soltanto pochi giorni fa, mi diceva che, affacciatosi a debita distanza sulla porta di una cancelleria per una indispensabile ed urgente informazione difficilmente ottenibile tramite front-office, è stato inurbanamente apostrofato da un impiegato che lo ha accusato, addirittura, di mettere in pericolo la propria salute! In conclusione, non vorrei che la richiesta formulata (sulla quale ho espresso la mia contrarietà quale consigliere dell’Ordine) possa legittimare – oggi ed in futuro, tra divieti di accesso alle cancellerie, lavoro “agile” degli uffici e rinvio dei processi – quella neppure tanto sotterranea “corrente di pensiero” che vorrebbe, in questo periodo emergenziale, gli avvocati sull’uscio dei palazzi di giustizia, quasi come ospiti indesiderati.

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Attenzione dunque – è il monito che mi permetto di lanciare – che non sia la stessa avvocatura l’artefice, per così dire, delle proprie fatiche e difficoltà “pandemiche” da qui al prossimo futuro.

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                                                                                             Aldo Casalinuovo, avvocato

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