Nell’ambito del Piano sul Recovery Fund, approvato martedì 12 gennaio dal Consiglio dei Ministri, si parla con più frequenza sui giornali economici di “NEXT GENERATION EU”. Ma cos’è? Ritorniamo un po’ indietro. Nel luglio 2020, a seguito dell’incontro-accordo fra Merkel e Macron di qualche tempo prima, peraltro tanto criticato, il Consiglio Europeo ha proposto ed approvato un massiccio fondo di recupero di 750 miliardi di euro con la denominazione NEXT GENERATION EU (NGEU), al fine di sostenere gli Stati membri colpiti dalla pandemia COVID-19. Un economista inglese, un po’ critico verso l’Europa, ha detto a quel tempo: “Unfortunately, the Commission’s proposal is more like an enlarged standard EU budget than a shock absorber”. “Purtroppo, la proposta della Commissione assomiglia più a un bilancio comunitario standard ampliato che a un ammortizzatore”. Sì, ed ha proprio ragione, perché il Fondo NGEU (Nuova Generazione UE) copre gli anni 2021-2023 e sarà vincolato al bilancio 2021-2027 dell’U.E.
Tuttavia, al di là dell’appropriata osservazione dell’economista, il NEXT GENERATION EU è costituito da programmi di spesa che convergono nel Recovery Fund e nella Resilience Facility. Del Recovery Fund un po’ tutti sappiamo qualcosa, ma fra un po’ approfondiremo ancora di più. Ma la Resilience Facility cos’è? Non c’è un termine economico esatto per ben definirla, poi ognuno darà una sua definizione. Resilience (La Resilienza) è in un certo senso la capacità di un sistema Paese (l’Italia per noi) di poter assorbire lo shock (per usare un termine medico) che investe la salute ed il sistema sanitario (pandemia), il territorio (tsunami, catastrofi etc.), l’economia, ma sopra tutto è l’attitudine di riorganizzarsi, di ritornare a funzionare perlomeno come prima e riprendere il percorso economico e produttivo e la crescita.
Inoltre, secondo la Commissione Europea, “Resilience” è completata ed abbinata - per così dire - a due importanti programmi europei, sorti per l’emergenza del COVID-19, che prevedono altri fondi e sovvenzioni: REACT-EU & SURE.
Cosa sono? Sono due acronimi in lingua inglese formulati a Bruxelles:
Il REACT-EU consiste nelle misure per favorire la coesione dei Paesi Euro investiti dalla crisi del COVID. Mentre il SURE è un nuovo sostegno per far sì che i lavoratori non rischino di perdere il proprio reddito e che le imprese non procedano a licenziamenti.
Per quanto riguarda il nostro Paese, il Governo ha ridefinito la denominazione di NEXT GENERATION EU con l’acronimo P.N.R.R. che significa Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (della “Resilience” credo di averne chiarito in qualche modo il significato).
Esso si articola in 6 missioni (cioè 6 macro-aree di intervento) che a sua volta si articolano e si aprono in 16 cluster (gruppi) e di conseguenza in 48 linee di intervento, con propri specifici stanziamenti volti al maggiore impatto economico. Ma non è il caso di entrare troppo nel tecnico, perché diventerebbe forse poco comprensibile.
L’importante è capire un po’ cosa siano e a cosa siano rivolte le 6 missioni o macro-aree poc’anzi accennate:
1 Rivoluzione verde e transizione ecologica, per l’efficienza energetica, efficientamento
e sicurezza del patrimonio pubblico, (fra cui scuole, edifici pubblici, cittadelle giudiziarie
etc.), adeguamento antisismico.
2 Digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo e della Pubblica
Amministrazione, e la Cultura.
3 Infrastrutture, per la mobilità sostenibile e le telecomunicazioni con la realizzazione
di una Rete nazionale in fibra ottica, lo sviluppo delle reti 5G e l’Alta Velocità.
4 Istruzione, formazione, ricerca e cultura.
5 Equità sociale, di genere e territoriale, con riferimento particolare alle politiche attive
del lavoro e sul piano per il Sud.
6 Sanità con innovazione, ricerca e digitalizzazione dell’assistenza sanitaria, l’assistenza
di prossimità e la telemedicina.
Naturalmente sono compresi, ognuno per il progetto di competenza, anche l’alta velocità, gli asili nido ed il Giubileo della Chiesa Cattolica del 2025.
I primi soldi, però, non arriveranno prima del secondo semestre di quest’anno, a ben sperare.
In effetti la Commissione Europea aveva esortato i Paesi dell’U.E. a presentare i progetti definitivi, dopo le prime bozze, che avrebbero potuto fornire all’UE dati per le prime stime, a decorrere dal 15 ottobre 2020 e non oltre il 20 aprile 2021. La più tempestiva è stata la Spagna, che ha poi ridimensionato il suo progetto, preferendo ricorrere ai sussidi europei che “potrebbero” anche comportare maggiore onerosità nei rimborsi, ma queste sono scelte di politica economico-fiscale programmatica di quel Paese. A seguire altri Paesi hanno presentato i loro progetti per la NEXT GENERATION EU (cioè il Recovery Fund) come la Francia (che preferisce finanziare il proprio piano per il 60% con fondi propri e non con il Recovery), il Portogallo, la Slovenia etc., anche la stessa Germania ha presentato il suo progetto: sorprende? No, non sorprende affatto!
L’Italia, che verso la fine dello scorso anno aveva pubblicato solo delle linee guida, è l’ultimo Paese dei richiedenti, anche se è in tempo.
Ogni Paese da’ priorità ai propri progetti in maniera differente uno dall’altro e secondo anche priorità di territorio e non secondo la sequenza dell’Italia.
Va ora detto che l’erogazione dei soldi da parte dell’U.E. non avverranno in tempi brevi, come ho anticipato, ma by step (per tranche diremmo in Italia), ovvero saranno condizionati dalla effettiva realizzazione dei programmi, dall’attuazione delle riforme e, da non sottovalutare, dalle raccomandazioni che vorrà dare l’Unione Europea ai Paesi membri.
Un’ultima osservazione. Per fronteggiare il COVID, si sarebbe potuto anche fare ricorso al M.E.S. (o E.S.M. che dir si voglia), anche in misura parziale e non totale per come previsto, la cui erogazione potrebbe avvenire anche a giugno/luglio. Per l’E.S.M. ci sono state, infatti, opinioni favorevoli trasversali nei vari schieramenti politici. Ma il Consiglio dei Ministri ha deciso di neanche discutere dell’E.S.M. È questo forse per evitare un maggiore potere dominante della B.C.E. e di qualche Paese che su di essa ha influenza? Forse possiamo fare a meno dei fondi dell’E.S.M., ma se ne avessimo bisogno, gli Eurobond non ci costerebbero di più?
Walter Frangipane
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