di FILIPPO VELTRI
Capisco che in questi giorni di contagi alle stelle, caos disorganizzato a Palazzo Chigi e dintorni; scaricabarile permanente tra Regioni e Governo, zone rosse e zone gialle, Cotticelli e Zuccatelli, etc etc, anche solo parlare di come ne usciremo possa apparire quanto meno prematuro.
Mentre di come ne siamo usciti, ovviamente, non parla più nessuno, anche perché l’unico libro in cui se ne parlava esplicitamente è stato ritirato dalle librerie pochi giorni fa dal suo autore, il ministro della Salute Roberto Speranza (il che non rassicura, a dirla tutta, sull’affidabilità delle previsioni fornite dagli esperti del ministero).
Sembra che tutto possiamo sopportare, ma solo a condizione che il nostro vicino soffra almeno quanto noi. E forse è anche per questo che abbiamo fatto due mesi di lockdown nazionale, e li stiamo tutto sommato rifacendo, dove piu’ e dove meno come e’ noto.
Ciò nonostante le polemiche di questi giorni inducono a qualche riflessione anche a proposito di come, diciamo così, avremmo dovuto uscirne: dalle furiose sommosse anticristiane dei cinefili laici sui social network, mortalmente offesi dalla decisione governativa di lasciare aperte le chiese pur avendo appena chiuso i cinema, alla ricorrente proposta di murare vivi gli anziani – per quanto tempo non è chiaro: tre mesi e poi si vede? fino all’arrivo del vaccino? finché non ci viene un’idea migliore? – per consentire a tutti noialtri di continuare a uscire di casa, vivere e lavorare come prima. Andando sempre al bar ovviamente!
Non mi soffermo sull’infelice tweet di Giovanni Toti, poi non meno maldestramente rettificato, a proposito dei tanti anziani deceduti per Covid che avrebbero potuto stare a casa, in quanto «non indispensabili allo sforzo produttivo del paese» (se adottassimo lo stesso criterio, o anche uno molto più blando, limitandoci a rinchiudere solo i soggetti dannosi allo sforzo produttivo del paese, dovremmo mettere in isolamento interi partiti a iniziare da quello di Toti, sempre ammesso che ne abbia uno).
Non aggiungo nulla alla pena della trasmissione in tv con Cotticelli e compari di ogni risma a sparlare della Calabria (sport nazionale da un secolo e passa, per colpa nostra ovviamente. Ha ragione costui: '’Ciascuno difronte a tutti e' per tutti e di tutto colpevole. E non solo a causa della colpa comune ma ciascuno, individualmente''. Fedor Dostoevskij - I fratelli Karamazov).
Degno di nota è piuttosto il brusco cambio di clima, dal desiderio di cantare l’inno nazionale dal balcone, stringendoci a coorte dai rispettivi cortili, a questa disperata ricerca del capro espiatorio, di qualcuno su cui scaricare la colpa, il peso e i costi della pandemia, alle manifestazioni nelle piazze, alle comparsate dei nostri politici in cui i nostri calabresi hanno ovviamente dato il meglio-peggio di loro.
È come se la logica del «prima gli italiani» tipico dei sovranisti avesse contagiato tutti, trasformandosi di volta in volta in «prima i cinefili», «prima i giovani», «prima i commercianti», «prima i pensionati». E poi nella gara delle regioni nelle tre italie prima i lombardi, prima i piemontesi, prima i calabresi e poi i campani, i pugliesi…..E cosi’ via.
Una reazione comprensibile in chi ha già subito perdite enormi e ora rischia di perdere tutto, per non parlare di chi è rimasto senza lavoro sin dall’inizio, che si estende però a macchia d’olio, persino in chi al massimo ha dovuto rinunciare alla piscina.
Sembra che tutto possiamo sopportare, anche le privazioni più dure, ma solo a condizione che il nostro vicino soffra almeno quanto noi. Se poco poco ci viene il sospetto che lui abbia anche solo la possibilità di andare a pregare in chiesa mentre noi non possiamo andare al cinema, o di andare in palestra o non possiamo andare a teatro, ecco che tutto diventa intollerabile.
In fondo, è lo stesso triste spettacolo in corso tra Governo e Regioni. O quello ancora piu’ penoso – ci torno ancora una volta e basta, giuro - in Calabria tra Regione, Asp, Commissari, su quanto non fatto in sei mesi. Con la conclusione che ci hanno chiuso e ora se la prendono pure con noi!
Insomma, da Palazzo Chigi alle piazze di Roma, Napoli, Catanzaro, Cosenza, Firenze e Milano, dai presidenti di Regione agli intellettuali di Twitter, agli esperti che ormai non li ascolta piu’ nessuno e si cambia canale, l’impressione è che ne siamo usciti peggiori. E forse è anche per questo che ci siamo già rientrati.
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