di EDOARDO CORASANITI
Non si sfugge dal dna: Cristiano De Andrè, figlio dell'eterno Fabrizio, ha lo stile del padre. Nei movimenti, nelle esecuzioni dei brani, nella postura e nella voce. Davanti ad un teatro Politeama sold out, il cantante regala al Festival d'Autunno diretto da Antonietta Santacroce uno spettacolo di musica e parole indimenticabile.
I testi sono quelli di Faber, l'interpretazione in chiave rock di Cristiano. E il risultato sembra essere gradito al pubblico, che alla fine del concerto gli regala una standing ovation unica.
Tutto si basa da "Storia di un impiegato", il celebre album di Fabrizio che racconta uno spaccato d'Italia a partire dalle ragioni di un uomo che vive gli anni '70 tra individualismo e coscienza di classe, tra cenni di ribellione e sconfitte di una società in continua evoluzione. Con un occhio sempre puntato all'indifferenza verso il potere ("che non è mai buono") e nei confronti situazioni più dimenticate dalla comunità: gli emarginati, i detenuti, gli operai, gli erranti.
La scenografia è organizzata in modo tale da rendere questa realtà concreta, accessibile e visibile a chi è seduto e pronto ad ascoltare.
Così si passa da Canzone di maggio a Il bombarolo, da Canzone del padre a Verranno a chiederti del nostro amore, da Nella mia ora di libertà a Al ballo mascherato. Ma poi ci sono anche i grandi classici della collezione del poeta genovese: Amore che vieni, amore che vai, Il pescatore, Quello che non ho, Khorakhanè.
In tutte le canzoni c'è inevitabilmente Faber, ma Cristiano è capace di renderle autentiche senza perdere dunque la sua personalità. Un diffiicile compito per chi è l'erede di un patrimonio culturale e artistico pesante come quello del figlio di uno dei più grandi cantautore/poeta della storia musica italiana.
Gli appuntamenti al Politeama non sono finiti: l'ultimo concerto sarà venerdì 8 novembre con Gianmarco Carroccia, Mogol e orchestra sinfonica. A salire sul palco ci saranno le canzoni di un altro mostro sacro della musica italiana: Lucio Battisti.
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