I motivi della decisione del Tar Calabria
09 maggio 2020 16:02di GABRIELE RUBINO
"Spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri individuare le misure necessarie a contrastare la diffusione del virus COVID-19, mentre alle Regioni è dato intervenire solo nei limiti delineati dall’art. 3, comma 1 d.l. n. 19 del 2020, che però nel caso di specie è indiscusso che non risultino integrati". E' chiarissimo il passaggio della sentenza del Tar Calabria con cui viene annullata l'ordinanza (n. 37 del 29 aprile) che consentiva la somministrazione all'aperto a bar, ristoranti, pizzerie, pasticcerie ed agriturismi.
Il presidente della Regione Jole Santelli aveva investito molto "sull'immagine" dell'operazione di anticipare questo tipo di riapertura in Calabria, trovando però l'opposizione del governo. Ne è nato un caso nazionale che oggi pende a favore del ministro per gli Affari Generali Francesco Boccia. Per i giudici amministrativi non c'è storia: "emerge chiaramente l’illegittimità dell’ordinanza del Presidente della Regione Calabria".
Il dispositivo del Tar (la decisione collegiale è stata assunta dal presidente Giancarlo Pennetti e dai giudici Francesco Tallaro e Francesca Goggiamani) dà ragione in pieno all'Avvocatura generale dello Stato, rappresentata da Alfonso Mezzotero. Non c'è alcuna violazione della Costituzione. Sostanzialmente perché i Dpcm di Conte derivano dal decreto legge n. 19 del 25 marzo e rientrano rispettano il principio di sussidiarietà insito nell'articolo 118 della Costituzione. "Ciò giustifica l’attrazione in capo allo Stato della competenza legislativa, pur in materie concorrenti quali la «tutela della salute» e la «protezione civile»", si legge in un passaggio della sentenza. "Il d.P.C.M. 26 aprile 2020, dal canto suo, non è un atto a carattere normativo, bensì un atto amministrativo generale. Esso non può essere oggetto di disapplicazione da parte del giudice amministrativo - si legge in un altro passaggio chiave-, essendo piuttosto onere del soggetto interessato promuovere tempestivamente l’azione di annullamento". Dunque è passata la linea per cui l'ordinanza della Santelli poteva essere legittima soltanto se avesse rispettato tre condizioni: "operare nelle more dell’adozione di un nuovo d.P.C.M. (ed invece è arrivata il 29 aprile, quando ancora il Dpcm di Conte doveva entrare in vigore il 4 maggio, ndr); che si tratti di interventi giustificati da «situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario» proprie della Regione interessata (al contrario, l'ordinanza indicava una regressione del rischio, ndr); che si tratti di misure «ulteriormente restrittive» delle attività sociali e produttive esercitabili nella regione (la misura dei tavoli all'aperto era chiaramente espansiva, ndr).
Il Tar ha accolto tutti e tre i motivi di ricorso dello Stato. Incluso, il secondo in cui è emersa la mancanza di istruttoria prima dell'adozione dell'ordinanza, anzi per usare le parole del giudice amministrativo proprio: "non sussiste". In questa parte c'è una sorta di "lezione" su come doveva "sussistere". I giudici ricordano che la concessione della ristorazione all'aperto era arrivata dal " mero riferimento del rilevato valore di replicazione del virus COVID-19, che sarebbe stato misurato in un livello tale da indicare una regressione dell’epidemia". "È però ormai fatto notorio che il rischio epidemiologico non dipende soltanto dal
valore attuale di replicazione del virus in un territorio circoscritto quale quello della Regione Calabria, ma anche da altri elementi, quali - proseguono i giudici - l’efficienza e capacità di risposta del sistema sanitario regionale, nonché l’incidenza che sulla diffusione del virus producono le misure di contenimento via via adottate o revocate". Inoltre, terzo motivo accolto, è stato violato il principio della leale collaborazione fra istituzioni non essendoci stata intesa o consultazione. "Anzi - aggiunge il Tar-, il contrasto nei contenuti tra l’ordinanza regionale e il d.P.C.M. 26 aprile 2020 denota un evidente difetto di coordinamento tra i due diversi livelli amministrativi, e dunque la violazione da parte della Regione Calabria del dovere di leale collaborazione tra i vari soggetti che compongono la Repubblica, principio fondamentale nell’assetto di competenze del titolo V della Costituzione".
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