Dialogo sulla solitudine. Franco Cimino al nostro direttore Cosentino: "Considerala una nuova compagnia"

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images Dialogo sulla solitudine. Franco Cimino al nostro direttore Cosentino: "Considerala una nuova compagnia"
Franco Cimino
  11 giugno 2020 16:15

di FRANCO CIMINO

Il mio amico, l’uomo bellissimo di questa nostra Città bellissima quando sa scoprire la sua bellezza, come ha fatto lui questa mattina con un post su Facebook, oggi ha parlato della sua solitudine. Lo ha fatto con una delicatezza d’animo straordinaria e con una penna di rara finezza poetica. Con umiltà ne ha mostrato la paura che dietro di essa si cela. E la nostalgia struggente per la persona che involontariamente l’ha prodotta. Man mano che le sue parole scendevano con la stessa forza e sincerità con cui scrive i suoi editoriali su questa testata, che abilmente dirige, il dolore si scioglie, la sua paura si fa canto e il suo dolore preghiera. Io, per ringraziarlo di questa alta lezione di vita e della sua amicizia che da sempre mi onora, gli ho scritto quanto segue. L’ho fatto sulla spinta dell’amico che consola e che, invece, man mano che le più modeste parole scivolavano sulle intenzioni, capivo che ero io a trovare la forza in lui. Pianto salutare e via a iniziare una nuova giornata. Con gioia e speranza. E di questo più fortemente lo ringrazio.

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“Caro Enzo, noi ci capivamo molto prima che le nostre condizioni esistenziali si eguagliassero. “Ti capisco”, pertanto, è dire poco. Ti sento, invece. Io ti sento, già da quella prima sera in cui ti scrissi e poi al telefono ci parlammo. La solitudine a volte non è rimovibile come un tappeto che spostiamo in un’altra stanza della casa. Quando deriva da mancanza per ciò che è stato sottratto e contro la volontà di chi la subisce, essa non deve essere vista né come un nemico né come un impedimento o un ostacolo. Neppure come disabilità, per la grave amputazione inferta al corpo di chi ha perduto parte della sua vita, diciamo pure, come nel tuo caso, più della metà.

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La solitudine sia considerata, quindi, una nuova compagnia. Anche preziosa, perché affina, invece che indurirlo, l’animo, e rafforza lo sguardo anche negli occhi che l’età indebolisce, senza farli né miopi, né presbiti. Ché essi vedono dove altri non possono, circondati come sono dal chiasso e da muri alti quanto la presunzioni di essere immuni al dolore. E a quella sorta di esser soli che ne deriva. 

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Accarezzala la solitudine, che è tua e perciò non trasferibile. Accarezzala come si fa con i bambini che son figli e con l’amata. Accarezzala con quella speciale carezza della mano, che lievemente dai capelli scende su tutto il viso. E parlale con dolcezza, mai con istintuale rabbia, pure se di un secondo. La solitudine non ha colpa di sé e neppure del dolore. Che lei non procura ma raccoglie, invece, e cura per non farlo impazzire. È generosa, la solitudine, quando, solo lei può farlo con l’aiuto Superiore, trasforma l’assenza in invisibile presenza. Non chiamarla angelo, quella mancanza, ché l’angelo è solo per i bambini quando perdono la mamma o il papà. Un angelo che c’è anche se loro si arrabbiano per non vederlo, ché i bambini hanno bisogno degli abbracci che si fanno con le braccia e di baci che si danno con la bocca. Il tuo angelo, Enzo, continua a chiamarlo con il suo nome e a parlarle come hai fatto per cinquant’anni. Chiedi al dolore di spostarsi un poco e tu la vedrai e la sentirai, con la stessa voce e lo stesso volto di prima, in cui più fermo sia rimasto quel sorriso che ti inebriava e rassicurava.

E non aver paura di ripeterle la promessa ricevuta già un tempo lontano, ché lei se la ricorda bene. Quella che quando verrà il momento lei si avvicinerà e ti prenderà la mano per non farti sentire la paura e darti la gioia immensa dell’incontro.Ti voglio bene, amico mio, uomo preziosissimo alla Città e al mondo intero. In particolare,a quello di ogni sofferenza e di incompresa solitudine reale. La solitudine del vuoto della propria anima.”

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