Dragone: “Caserta ha tutti i difetti di noi calabresi, per questo mi piace e sto dalla sua parte”

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Fabio Caserta, tecnico del Catanzaro
  16 dicembre 2024 09:32

di SERGIO DRAGONE

Fabio Caserta ha tutti i difetti di noi calabresi: è chiuso di carattere, sorride poco e quando lo fa si vede che fatica, è cocciuto e testardo, poco incline alla diplomazia. L’inflessione reggino-jonica durante le conferenze stampa non aiuta la sua immagine. La sua è un’espressione quasi sofferente su un viso che sembra scolpito nel legno e uscito da un romanzo di Corrado Alvaro. Come tutti i calabresi che si sono fatti da soli, ha il senso del sacrificio e capisce che il successo,  essendo effimero, ha sempre bisogno di essere coltivato con l’impegno e il duro lavoro.

A Catanzaro, città tradizionalmente esterofila, non gode di buona stampa e fin dalla prima gara di campionato parte della tifoseria lo ha preso di mira con cattiveria sui social, auspicandone l’esonero e chiedendo l’ingaggio di un allenatore “vero”. “Ha sbagliato formazione”, “non sa leggere la partita”, “non sa gestire i cambi”, “non riusciamo a fare due passaggi di fila”, tutto un campionario di critiche che – per carità – possono anche starci nello strano mondo del calcio. Su alcuni siti e in talune “dirette post partita” c’è stato un accanimento obiettivamente non comprensibile, preconcetto, anche un po' perfido.

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Lui non ha mai reagito. Mai una parola fuori posto, solo silenzioso tormento da cancellare con i risultati. Sapendo che per tutta la stagione sarà sempre messo in discussione, si vinca o si perda o che, come spesso è accaduto, si pareggi. Perché è calabrese, perché non sa essere diplomatico, perché non ride quasi mai. Sono certo che al primo passo falso tornerà il tam-tam.

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I suoi denigratori lo chiamano “capu ‘e muntuna”, espressione non propriamente elegante e affettuosa che gli hanno affibbiato i tifosi del Cosenza, come a dire “scarsamente intelligente” e “stupidamente testardo”. In realtà, in araldica, il montone è simbolo di forza, tenacia, sfida.

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Fabio Caserta è il prototipo del calabrese e proprio questa sua calabresità me lo rende simpatico. Non ho idea se il suo Catanzaro retrocederà (come si augurano i “casertaout”), si salverà dignitosamente o andrà ai playoff per giocarsi alla roulette la serie A. Ovviamente mi auguro che si verifichi la terza ipotesi. So solo che questo allenatore umile e determinato, voluto in maniera ostinata dal presidente Noto e non solo perché costa poco, ce la sta mettendo tutta. E come tutti i calabresi, sotto quella scorza caratteriale, è capace di slanci di generosità e passione ineguagliabili.

I suoi abbracci con i giocatori (memorabile quello con Iemmello alla fine di Catanzaro-Brescia) non sono finti. Essere calabresi non significa essere inferiori, in tutti i campi. Questo lo pensano solo a certe latitudini lombardo-venete. E qualche volta purtroppo lo pensano anche dalle nostre parti.

 

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