di SERGIO DRAGONE
L’Università della Calabria (Unical) è, secondo il Censis, il migliore grande ateneo d’Italia. Ha scalzato nell’annuale ranking anche università antiche e prestigiose come Pavia, Perugia e Parma. E’ l’apoteosi per la gestione del rettore Nicola Leone che ha trasformato in pochi anni il campus di Arcavacata in uno dei più innovativi e ambiziosi atenei italiani, con proiezione internazionale come dimostra l’arrivo di Georg Glottlob, uno dei massimi esperti al mondo di intelligenza artificiale.
Nello stesso ranking, l’Università Magna Gracia di Catanzaro si colloca, nella graduatoria dei medi atenei, all’ultimo e malinconico posto, 80esima su 80, superata anche da Foggia.
Quando alcuni mesi fa, osai dire che l’UMG, abdicando al primato di unica facoltà di medicina della Calabria, si era autocondannata alla marginalità, ci furono reazioni indignate da parte di alcuni docenti che mi replicarono dicendo che non avevo capito niente, che la nostra Università in realtà era una delle più competitive del Mezzogiorno, che Unical ci avrebbe messo decenni prima di raggiungere gli standard della nostra scuola di medicina.
Il mio ragionamento era semplice. L’Unical ha impostato la “sua” facoltà di medicina sulle nuove frontiere della tecnologia, con grande lungimiranza perché tra qualche decennio tutti i medici dovranno essere anche ingegneri informatici, capaci di manovrare robot ed altre diavolerie del genere e di fare i conti con intelligenza artificiale e metaverso. Non è un caso che proprio Unical abbia acquistato e messo già in funzione il robot Da Vinci. Tra dieci-quindici anni non ci sarà partita.
La mia non era una critica fine a se stessa, semmai uno stimolo perché UMG, che considero una risorsa fondamentale per il Capoluogo, dimostrasse analoga ambizione.
Purtroppo la rappresentazione autoreferenziale che l’UMG dà di se stessa non trova riscontro nelle indagini e nei numeri. La realtà secca è che Unical è prima tra i grandi atenei italiani e UMG ultima tra i medi atenei.
Mi auguro che la questione non venga liquidata dal mondo accademico catanzarese come un abbaglio del Censis. Io credo che le sorti di un’Università, per quanto dotata di autonomia, non siano una faccenda privata e riguardino anche tutta la collettività. C’è materia perché il rettore Cuda, i docenti, gli studenti, le istituzioni e la politica ragionino con attenzione sul futuro della nostra Università.
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