Antipatici, saccenti, con la puzza sotto il naso. Intellettuali da salotto, narcisi e insopportabili. Con i portafogli gonfi dei loro compensi stratosferici. Ma sulla Calabria hanno le idee chiare, chiarissime, lucide e dissacranti. Ne sanno più dei calabresi e le loro analisi, per quanto difficili da digerire, ci fanno riflettere sulla condizione della regione più periferica d’Europa, la più imperscrutabile e chiusa.
Dopo il durissimo monito di Corrado Augias (“la Calabria è perduta”), stavolta è toccato a Michele Santoro – nel salotto buono di Lilli Gruber – parlare di Calabria e calabresi, con un taglio assolutamente inaspettato e controcorrente.
Prendendone le difese, inchiodando i Governi centrali alle loro pesanti responsabilità, superando lo stereotipo di terra di ndrangheta che spesso viene utilizzato come scusante per giustificare ritardi ed omissioni.
Nel giorno in cui in Belgio, nell’università di Leuven, compare una pubblicità giocata sulla parola ndrangheta (che sicuramente non è un dessert), Santoro lancia la provocazione: la ndrangheta gestirebbe meglio gli ospedali di come non faccia lo Stato oggi. Roba da fare rizzare i capelli. Ovviamente, Santoro, la cui antipatia è direttamente proporzionale alla sua mente acuta, non ha voluto fare l’elogio della ndrangheta imprenditoriale. Ha invece voluto inchiodare lo Stato alle sue pesanti responsabilità sulla condizione della Calabria. Se le fatture vengono pagate due volte, dice Santoro, la colpa è dello Stato, non della ndrangheta. Uno Stato distante, colonizzatore, che manda in Calabria generali della riserva e prefetti che non sanno fare i conti, che vanno a combattere un nemico idealizzato, mentre si tratterebbe di fare funzionare meglio le istituzioni. Poi l’affondo: il ministro Speranza vada in Calabria e assieme ai calabresi sistemi la sanità, non veda via prima di avere sistemato tutto.
Santoro ha indicato la Calabria come simbolo delle contraddizioni e delle difficoltà di tutto il Paese. Si può essere d’accordo o in disaccordo con le sue frasi- shock, ma sicuramente c’è spazio per la riflessione. I calabresi non sempre sono i protagonisti negativi della condizione marginale e critica della propria terra. Le gravi responsabilità dei Governi, di tutti i Governi, sono pesanti. Nella gestione della sanità pubblica sono addirittura devastanti se è vero che più di un decennio di commissariamenti hanno prodotto solo fallimenti, inefficienze e debiti.
Ma c’è una riflessione più profonda che le ingombranti e fastidiose frasi di Santoro, Augias e compagnia bella suscitano: la Calabria è arrivata al suo punto di svolta, ha una necessità vitale di cambiare pelle, una sorta di rivoluzione di velluto che modifichi politiche e comportamenti sociali. Se non vuole uscire dal contesto democratico e civile dell’Italia e dell’Europa.
Sergio Dragone
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