C’è chi cerca ancora, tra gli inquirenti, che ne sono obbligati, e la pubblica opinione, che ne è convinta, la corruzione della politica nei reati amministrativi e penali contemplati nel nostro Codice. Tantissimi sono stati i pubblici ufficiali, dal 1992 in poi, ad essere stati perseguiti e puniti secondo legge. Di certo, per i differenti impegni delle singole giurisdizioni e dei singoli magistrati( tutti i luoghi decisionali si prestano a contaminazioni e debolezze), per i voluti meccanismi del sistema e per l’abilità dei mestieranti della politica, non tutti i corrotti sono stati individuati e, tra quelli inquisiti, non tutti sono stati condannati.
Non ho stime, né dati statistici da far valere scientificamente, ma temo che neppure il cinquanta per certo della corruzione in Italia sia stato finora colpito. La lotta alla corruzione è come quella all’evasione fiscale: ogni anno aumentano le entrate recuperate da quel campo, ma ogni anno si dice che l’evasione è cresciuta. Addirittura, fino a quantificarla. L’ultima si aggirerebbe intorno ai 180 miliardi di euro, quasi una manovra finanziaria. Torniamo alla corruzione. Che essa non si annulli, è sociologicamente e antropologicamente comprensibile, trattandosi di un fatto riguardante l’agire umano. Ma, che non si riduca e anzi cresca, nonostante la pressione della legge rafforzata, è una domanda che nessuno si pone. Perché? Per incultura, quieto vivere, interesse commisto e diffuso, debolezza morale della società? È difficile dire. E, però, la risposta c’è e non è faticoso trovarla. Essa di trova nel male che da più di trent’anni lentamente sta consumando la democrazia italiana. Il tessuto democratico è quasi tutto consumato, ma nessuno se ne avvede. Il corpo della democrazia è come quello umano, lentamente si abitua alla progressiva perdita di forza. E della salute. Come quando si invecchia.
Si cammina e ci si illude di star bene sol perché si fanno le stesse cose abitudinarie. Non ci si accorge della loro modificazione se non quando non le si possono fare più. A partire dal salire le medesime scale. Quindi, l’ascensore, perché è rapido e moderno. E non affatica. Intanto, la vita se ne va. La malattia della Democrazia, è l’assenza della Politica. La Politica, con la maiuscola, manca quando in essa non vivono più gli ideali e i principi morali, che per nulla possono mai essere separati senza che essa si trasformi in tecnica per la conquista del potere. Potere, attraverso cui si acquisisce il consenso. Potere per il consenso, non al contrario. È questa l’anomalia italiana. Una volta, quando questo meccanismo agiva, ma solo in parte e non diffusamente nel territorio, si chiamava clientelismo. Fenomeno in qualche modo controllabile per la presenza di due forze essenziali alla vita delle istituzioni, i partiti e le loro regole, sempre valide pur quando venivano eluse o violate. In questo nostro tempo, quella della lunga emergenza democratica, in cui mancano i partiti, le idee son diventate slogan e punti di contratto, i leader piccoli capetti di provincia che fondano comitati elettorali a loro nome, il ragionamento politico si è trasformato in piccole frasi imparate a memoria e dette in pessimo italiano, il confronto tra parti e persone in rissa da osteria e le stesse istituzioni in curva da stadio, ogni gesto politico che ambisca a essere rivoluzionario, scomodando il nobile e alto pensiero di uno dei più grandi pensatori della politica del cinquecento, lo si considera orgogliosamente machiavellico. Tutto ciò, per coprire una pura e volgare operazione di palazzo.
Noi calabresi, tuttavia, se solo lo volessimo, saremmo più fortunati nella comprensione di questo male, che la nostra terra, per la sua atavica debolezza, subisce con maggior danno. Ci basterebbe soltanto osservare il volgare mercato delle candidature che si è aperto da mesi, per le regionali. Anticipato di anni, addirittura per il rinnovo del Consiglio comunale di Catanzaro e di altre città. Girano in lungo e in largo, i soliti personaggi e i cosiddetti nuovi che ad essi somigliano. Si incontrano nelle case, nei locali di associazioni “ordinate”e di luoghi che dovrebbero essere lasciati autonomi come le associazioni e le arti e le professioni che in essi hanno sede, e preparano liste, candidature, promesse di distribuzione di posti e pretende i più impensabili. E tutti, anche giovani e donne e uomini colti e intelligenti a crederci. Dovrebbero fare la rivoluzione o indignarsi per essere stati trattati come dei mendicanti o ignoranti, mandarli a quel paese per l’evidente differenza culturale e morale tra loro , che sono tanti e belli, e quei pochi brutti che li cercano, e invece si sentono lusingati e quasi gratificati. Quei pochi, che non avrebbero partito se ce ne fossero di veri, usano l’ultima invenzione dei palazzi romani. E cioè il “ civismo”, la brutta ipocrita formula per coprire la impresentabilità di queste vecchie e nuove organizzazioni politiche e i loro simboli, sigle, bandiere. Il civismo per fare liste civiche dove metterci di tutto e di più. Uomini, in particolare, altrove impresentabili.
Liste civiche, si badi, per le quali non si scrivono regole o statuti da rispettare, e nelle quali gli eletti non dovranno rispondere a nessuno. Neppure, agli elettori, perché non c’è nulla di più evanescente e deresponsabilizzato che il voto a formazioni senza agganci ad ideali formalmente indicati e in qualche storia e cultura radicati. Da anni vado dicendo che la questione morale si trova, soprattutto, in atti che non sempre hanno a che vedere con il codice penale. Da anni vado dicendo che non bisogna affidare al giudice l’attestazione di onestà di un politico, ché essa va ricercata nel suo agire e non in una sentenza, che lo abbia condannato o assolto, quando fosse stato perseguito dall’accusa di un reato. La corruzione è in qualsiasi atteggiamento di quegli aspiranti politici che, ingannando i cittadini e usando la loro fiducia e il loro bisogno, quale che esso sia, costruisce un potere per sé e per le lobby o per i padroni che li comandano al prezzo di dieci lire, e usano le istituzioni a questo cattivo fine.
Dicevo che noi calabresi siamo fortunati perché abbiamo tutto questo quadro davanti agli occhi. Basterebbe per esempio, riflettere su questo colloquio rapidissimo, per nulla immaginario:” ciao, comu mi stai vecchiu amicu meu?” - “ eu staiu bonu, ava assai però chi on ti viju” - “ ha raggiuna bedhu meu, ma aju avutu chì fara tantu. Mo chi ni trovamu, volera ma ti dicu ca mi candidu a la reggiona, votami mi raccumandu e diccellu a tutta a razza tua.” - “ e cu ccui ti candidi stavota?”- “ on u sacciu ancora, veni e trovami ca chiù avanti tu dicu.” E quello ci va. Poi chiede il voto alla gente e dell’amico dice che “è troppu intelligenta, sapa sempra duva sona a musica e u maestru chi cumanda l’orchestra.”
Franco Cimino
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