Educazione, Caligiuri sull’innovazione didattica alla Commissione Cultura della Camera dei Deputati: “Stiamo andando nella direzione sbagliata”

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Mario Caligiuri
  23 ottobre 2019 17:47

“Oggi il cyberspazio è l’ambiente educativo prevalente in un contesto in cui le classifiche internazionali pongono la scuola italiana spesso negli ultimi posti. Non potrebbe esserci prova più evidente che nelle politiche scolastiche probabilmente stiamo andando nella direzione sbagliata”. In questo modo Mario Caligiuri, professore di pedagogia della comunicazione dell’Università della Calabria, ha introdotto il suo intervento sull’innovazione didattica in occasione dell’audizione svolta oggi alla Commissione Cultura della Camera dei Deputati, presieduta da Luigi Gallo. Tra gli altri intervenuti anche Paolo Gheda, dell’Università di Aosta.

“L’innovazione didattica - ha detto Caligiuri- è una necessità talmente vasta e profonda che non può essere affrontata con soluzioni di dettaglio o con buone pratiche, magari importate dall’estero oppure spesso legate a singole persone e che scompaiono con loro”. “C’è bisogno - ha proseguito - di azioni strutturali che sono più difficili ma le uniche che possono garantire qualche risultato”. Secondo Caligiuri, il punto di partenza è la consapevolezza che i risultati delle politiche scolastiche si manifestano dopo decenni, sostenendo che al boom economico degli anni Sessanta concorse la riforma di Giovanni Gentile del 1923 e che gli esiti attuali sono determinati anche da quello che ha definito il “facilismo amorale” che a partire dal ‘68 ha progressivamente abbassato il livello della preparazione, allargando paradossalmente le distanze sociali con l’illusione di ridurle.

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Soffermandosi poi sulla situazione attuale ha evidenziato che “continuiamo a insegnare come nel Medioevo mentre oggi abbiamo a che fare con studenti a tre dimensioni: fisica, virtuale e aumentata, e quindi con giovani che elaborano le informazioni a livello cerebrale in lodo diverso rispetto alle generazioni precedenti. Inoltre, occorre avere la consapevolezza che le discipline che serviranno nei prossimi anni ancora non si conoscono, mentre gran parte delle professioni necessarie nel futuro ancora non sono stata inventate mentre è probabile che buona parte degli attuali percorsi formativi stanno preparando a professioni senza futuro. “Le abilità che l’istruzione sta promuovendo - ha continuato - sviluppano la capacità di produrre reddito in funzione del consumo 24 ore su 24. Non si presta attenzione a quella che potrebbe essere l’emergenza educativa e democratica di questo tempo rappresentata dalla società della disinformazione, che si materializza con l’eccesso di informazione da un lato e il basso livello di istruzione dall’altro, creando un corto circuito cognitivo che allontana le persone dalla comprensione della realtà. Occorre quindi puntare sul fattore umano, ponendo la persona  al centro del processo educativo per metterlo in condizione di fronteggiare la sfida con l’intelligenza artificiale, attraverso discipline come le neuroscienze, la genetica, l’intelligence”.

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Caligiuri ha concluso con una proposta di metodo e di merito. Nel merito ha evidenziato che occorre ribaltare l’impostazione delle politiche scolastiche puntando sulle riforme di sistema e non su provvedimenti particolari, che finiscono spesso con il peggiorare la situazione. Nel metodo ha evidenziato che per realizzare l’innovazione didattica occorre partire dagli insegnanti, auspicando la necessità di una differente formazione e selezione sia a livello scolastico che universitario. A quest’ultimo riguardo, ha invitato la Commissione ad approfondire ulteriormente le attuali procedure concorsuali, che, a suo giudizio, stanno indebolendo e rendendo precario l’insegnamento universitario. Rispondendo poi alle domande dei deputati ha precisato che è fondamentale chiarire gli scopi dell’istruzione: ambiti di ammortizzazione e di socializzazione oppure luoghi di costruzione della democrazia e di prevalenza dell’umano? Ha infine precisato che oggi le teorie pedagogiche devono applicarsi in un contesto assolutamente nuovo e quindi vanno profondamente rinnovate. “Probabilmente, c’è bisogno - ha concluso - di pedagogie radicali che introducano nuovi concetti, nuovi saperi e nuove visioni del mondo nelle scienze dell’educazione”.

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