di GALILEO VIOLINI
Tema per grandi battaglie di diritti civili in senso reale, su cui un caso recente ha richiamato l’attenzione. Un altro dei temi su cui il 26 settembre potremo mettere una pietra. Diritto inesistente quando ciò di cui si favorisce la morte è la democrazia.
In questi giorni stiamo assistendo a una morte annunziata la cui cronaca richiederebbe la penna (o la macchina da scrivere) di Gabo.
Ieri la gestazione travagliata dell’accordo tra PD e Azione,+Europa si è conclusa. La montagna partorì un topolino, insignificante negli accordi sul programma (velleitari per il peso, si fa per dire) dei contraenti nel nuovo Parlamento), ma scrupoloso nel delinearne i limiti, soprattutto di adesione al progetto elettorale. Ne ho già scritto per chi sia interessato
https://www.researchgate.net/publication/362432511_Storia_maestra_di_vita_O_perseverare_nell'errore_diabolico
Le prime reazioni all’accordo Letta-Calenda non sono promettenti.
Nuova Bad Godesberg scrive Merlo su Repubblica, definendolo svolta per la sinistra italiana. Dubitarne è facile. Bad Godesberg significò rinunciare a una tradizione massimalista di cui francamente è difficile trovar traccia nel PD, e fu per governare, non per gestire una sconfitta annunciata. Ma più che dubitarne mi si lasci se non ridere, sorridere per l’interpretazione nella storia della sinistra. Se questa è una svolta, il Congresso di Livorno è la Rivoluzione francese, Berlinguer erede di Ranvier, e la Bolognina la Rivoluzione d’Ottobre.
Il “sacrificio” di Letta di concedere a Calenda il diritto di presentare candidati nel 30 % dei collegi, i cui candidati appartengano a uno dei due gruppi (con scorporo di quelli la cui indicazione sia lasciata ad altri gruppi della coalizione), sta mostrando i suoi limiti. Bonelli ha fatto presente di portare più voti di Calenda. È un bluff secondo i sondaggi di ieri, che accreditano al suo gruppo solamente circa l’80% di quanto accreditano a quello di Calenda. Se la sua protesta fosse accolta nella misura ridotta suggerita da quei sondaggi, la suddivisione delle candidature alla Camera tra i tre gruppi sarebbe 84, 36, 27. Rospo difficile da inghiottire per il PD? No. Lo salverà il veto di Calenda, e quindi realisticamente le candidature all’uninominale saranno divise 103 -44. Bonelli e i verdi come Fratoianni e SI dovranno presentarsi nel proporzionale.
Non è una tragedia per quelli che saranno inclusi nelle liste.
Matteo, non Renzi o Salvini, ma l’evangelista, comunque ricorderebbe che molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti. Mai citazione più appropriata. Il rapporto della Fondazione Cattaneo attribuiva al CS, ma includendovi anche Italia viva, 42 seggi. Se la distribuzione degli eletti nell’uninominale sarà casuale, ipotesi ingenua lo so, la rappresentanza alla Camera sarà rispettivamente di 29 e 13 e il 71% non sarà stato eletto.
Secondo https://www.tpi.it/sondaggi/sondaggi-politici-elettorali-oggi-3-agosto-2022-20220803919963/, l’accordo avrebbe salvato 12 seggi alla Camera e quindi allontanerebbe lo spauracchio di una possibile maggioranza di due terzi della destra. Unica nota positiva che riconosco. Tuttavia, un accordo più ampio ne avrebbe salvati di più e, se Calenda se ne fosse astenuto, il suo Terzo Polo avrebbe potuto pur sempre essere una spina nel fianco dell’alleanza di destra, erodendo l’elettorato di Forza Italia.
Il pur immaginifico Letta assicura di non poter immaginare un governo Meloni dopo quello Draghi. Strano corto circuito su regole di alternanza. Nel Regno d’Italia ci furono Mussolini dopo Facta e De Gasperi dopo Parri. Nella Repubblica, il laico Spadolini dopo 14 democristiani e non ci fu Renzi dopo Letta? Perché dovrebbe essere inimmaginabile Meloni dopo Draghi? In fondo il principale requisito per essere primo ministro della Repubblica Italiana è la non opposizione Oltre Atlantico, (nonostante le farneticazioni di chi ti teme la manipolazione dell’orso delle steppe). Il sodale Di Maio gli dovrebbe dire: Scetate guagliò.
Le cupe previsioni sull’uninominale dovrebbero anche ridimensionare l’importanza del lodo Fratoianni incensato in un altro articolo di oggi (Giovanna Vitale, La Repubblica). Per quanto scrivevamo, con quelle previsioni, la candidatura all’uninominale non può essere appetibile per i leader. Una nota critica al meccanismo elettorale è che le liste bloccate erano determinate dalle segreterie dei partiti. La candidatura nel proporzionale assicurerà ai leader l’elezione, con buona pace della società civile che avrà ususfruito dello specchietto per allodole di essere stata carne da cannone nelle battaglie dell’uninominale.
Certo questo presenta dei problemi. La coperta del 30% è corta, per molto che la stirino con il loro ottimismo della volontà due neogramsciani come Letta e Calenda che, ahimé, non hanno assimilato la necessità di accompagnarlo con il pessimismo della ragione.
Il diritto di tribuna pretende assicurare qualche voto in più, ma genera tensioni tra chi a quella tribuna non avrà diritto, come chi seguì di Di Maio e ragionevolmente esclude di poterne usufruire in aggiunta al suo leader di riferimento e a Tabacci. E poi magari, Di Maio potrebbe escogitare di candidare Chi quell’impegno ha evocato dal Canadà, doppia cittadinanza certo da riacquistare per incarico in altro stato sovrano, ma perché non provare a candidarlo nel Collegio estero?
Intanto alcuni analisti forniscono dati (Meloni, leader di un gruppo al 48% preoccupata del sorpasso del PD), che permettono a un mio concittadino conzolasse co’ l’ajetto, e dichiarare "Da oggi non farò più polemiche, andiamo a vincere le elezioni". Giovanna Vitale chiosa “In pochi tuttavia, specie fra i dem, sono disposti a credergli”.
Frase superba e da incorniciare per la facile ironia a cui offre il fianco, per chi invece di dilettarsi studiando il carattere di Calenda, preferisca fissarsi sui numeri.
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