di ANTONIO BEVACQUA
Ritualmente, annualmente, l’ufficio studi della CGIA, l’Associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre pubblica il proprio report sulla fedeltà fiscale degli Italiani e, ritualmente, annualmente, pone la Calabria come “la regione più a rischio evasione d’Italia” evidenziando, tra l’altro, nell’ultimo rapporto, come “la percentuale dell’economia non osservata”, cioè “sottodichiarazione fiscale, lavoro irregolare, attività illegali, mance, fitti in nero, etc.” si attesti in Calabria al 18,8%, contro una media nazionale dell’11,6%, e certamente ad una distanza abissale dalla “virtuosa” Lombardia che, invece, fa registrare solo l’8,4%.
Premesso che, a parer mio, se anche un solo calabrese dovesse nascondere al fisco materia imponibile sarebbe assolutamente da censurare e da punire, figuriamoci se posso tollerare che la mancanza di fedeltà tributaria dei miei conterranei permette di celare agli occhi dell’erario quasi il 19% della ricchezza prodotta nella regione!
Ma, anche in questo caso, come spesso oggi accade, ho l’impressione che si guardi più dito che alla luna! Mi sarei infatti aspettato dal solerte ed efficiente ufficio studi della CGIA di Mestre la presentazione di una “classifica” più completa in tema di fedeltà fiscale, nella quale avremmo potuto comprendere, ad esempio, quanto pesa in termini assoluti l’occultamento al fisco del 18,8% della “ricchezza calabrese” e quanto l’8,4% della “ricchezza lombarda”.
Incompleta, ingenerosa, se non strumentale, diventa dunque la periodica pubblicazione di tali dati che non hanno l’effetto di aprire una seria discussione sulla questione dell’evasione fiscale, ma ingenerano, semmai, altri dannosi pregiudizi nei confronti di una regione, la Calabria, (meno di due milioni di abitanti, dei quali il 40% privo di occupazione, reddito pro-capite che è la metà di quello medio in Italia), in cui se evasione si pratica, dati alla mano, sembra essere, ahimè, sulla povertà.
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