di EDOARDO CORASANITI
C’è un concetto che si ripete più volte nelle motivazioni della sentenza del rito abbreviato del processo “Farmabusiness” che a febbraio scorso ha portato a sei assoluzioni e 14 condanne: prove per condannare Domenico Tallini, ex presidente del Consiglio regionale, non ce ne sono. Né quando si parla della vicenda Farmaeko né quando si tira in ballo lo scambio elettorale con la cosca Grande Aracri. E’ la giudice Barbara Saccà che mette nero su bianco le ragioni che tre mesi fa hanno portato all’assoluzione di Tallini, rimandando anche ad una certa coerenza con l'annullamento della misura cautelare del Tribunale del Riesame e confermata dalla Cassazione che ha ritenuto non sussistenti i gravi indizi di colpevolezza che a novembre 2020 hanno portato agli arresti domiciliari per il politico di Forza Italia. La notizia ha fatto il giro delle tv nazionali e locali, subito e sempre pronte a marchiare come colpevole chiunque si imbatta in un’indagine. Intercettazioni, foto, conclusioni affrettate da prima pagina che, un’altra volta, si dimostrano avventate.
Sotto i riflettori i legami della cosca Grande Aracri nel presunto business della distribuzione dei farmaci, di cui Tallini si sarebbe fatto promotore e facilitatore tra i palazzi della Regione Calabria ai tempi in cui era a capo del dipartimento del Personale. In cambio, avrebbe goduto dei voti della cosca nelle elezioni regionale del 2014. Una teoria sempre negata dal collegio difensivo, composto dagli avvocati Vincenzo Ioppoli e Carlo Petitto.
La giudice, di fronte alla richiesta di condanna a 7 anni e 8 mesi avanzata dalla Dda di Nicola Gratteri, evidenzia che ci si trova di fronte ad un quadro indiziario carente. Talmente scarso da rischiare di far cadere il ragionamento fino all’intuizione, una “ dote soggettiva che, preziosissima nella conduzione delle indagini, non può, in fase valutativa della prova, ritenersi appagante perchè non scherma, anzi al contrario, dal rischio di un arbitrio nel giudizio”.
Uno dei primi elementi sottolineati è il rapporto con Domenico Scozzafava, antennista e condannato in questo processo a 16 anni di reclusione per la sua presunta appartenenza alle cosche: non ci sono prove “che Tallini sapesse del contesto criminale di appartenenza dello Scozzafava e del suo rapporto di intraneità con i Grande Aracri”.
Di un argomento si è discusso molto, soprattutto sui giornali: la presunta scaltrezza di Tallini nel non voler parlare al telefono o salire in macchina con Scozzafava. Al di là del fatto che bisognerebbe dimostrare condotte penali e non supposizioni, la giudice fa notare che in realtà Tallini con l’antennista ci parla, ma è il contenuto delle telefonate che è piccato: nessuna adesione a progetti criminali. E ancora: nessuna prova per la presunta ingerenza di Tallini nella nomina di Brancati (ritenuta una mossa per assicurare il buon fine del progetto), la quale è avvenuta sulla base di una procedura regolare.
Il figlio di Tallini, inoltre, avrebbe partecipato alla costituzione della società e solo più tardi avrebbe saputo della possibile ingerenza delle cosche riconducibili ai Grande Aracri. Ma non ci sono dimostrazioni di come, quando e se l’informazione sia stata condivisa con il padre.
Altro grande capitolo è lo scambio elettorale. Tallini, con l’impegno per Farmaeko, si sarebbe garantito un appoggio elettorale della cosca di Cutro. Almeno così nella ricostruzione della Procura. Circostanze però smentita dall’impianto probatorio che al contrario ha dimostrato come ilclan, per la tornata elettorale del 2014, ha più volte espresso la volontà di ·non ·comparire attraversosuoi riconoscibili esponenti.
Le accuse valutate oggi dal Gup Barbara Saccà mosse agli indagati sono, a vario titolo, associazione di tipo mafioso, concorso esterno in associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, detenzione illegale di armi, trasferimento fraudolento di valori, tentata estorsione, ricettazione e violenza o minaccia a un pubblico ufficiale. Il 19 novembre del 2020 scattarono gli arresti per 25 indagati.
Ora gli imputati e la Procura potranno appellare la decisione. Con il deposito delle motivazioni si chiude il primo grado del processo “Farmabusiness”. Un’indagine che ha scavato nei presunti rapporti tra mafia e politica. La prima è stata trovata, come è descritto ampiamente nella sentenza, della seconda non rimangono che gli arresti, il clamore, ma nessuna traccia. Anzi, nessuna prova.
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