Festival d'Autunno, Peppe Fonte a Montauro rievoca l'arte ciampiana: l'intervista

Share on Facebook
Share on Twitter
Share on whatsapp
images Festival d'Autunno, Peppe Fonte a Montauro rievoca l'arte ciampiana: l'intervista
Peppe Fonte
  06 settembre 2022 10:20

di MARCELLO BARILLÀ’

Chissà se in quegli anni lontani Piero Ciampi ha mai gettato dall’alto uno sguardo su quella costa jonica che un po’ era anche casa sua. Di sicuro, in questa fine estate, le sue parole e i suoi accordi, complice magari un refolo di maestrale, andranno a tuffarsi in quel mare che lui amava, al punto da fargli dire che “la Calabria è un’isola”. L’appuntamento è per il prossimo 9 settembre alla Grangia di Sant’Anna a Montauro (CZ), con un ciampiano doc, uno di quelli che tengono acceso con ostinazione il fuoco di una memoria che è arte ma soprattutto è vita. Un pianoforte e dietro, Peppe Fonte, a proporre ancora una volta le canzoni di Piero, con in più quelle di Pino Pavone ma anche le sue, in un intreccio difficile da districare, intessuto nel tempo da un tessitore sconosciuto, sapiente e riservato.

Banner

«Diciamo che è un cerchio che si chiude – prova a spiegare Fonte – lungo il quale viaggia il transfert che attraverso Pino Pavone mi porta a Ciampi. Conosco Piero nel 1978, ad appena dodici anni, me lo presenta Pino ed è l’unica volta che lo vedo. È Pino il trait d’union, il suo racconto comincia molto tempo fa e dura tutt’ora, anche se è passata una vita. Frequentarlo significa avere un accesso privilegiato all’universo di Ciampi, alle sue poesie, alla sua musica, ai suoi amici. Oggi quell’universo mi possiede per intero, come interprete e come autore, artisticamente ma anche umanamente. Da qui, il concerto che farò a Montauro con accanto un altro amico, Rocco Riccelli e la sua inimitabile tromba».

Banner

Piero Ciampi non ammette mezze misure. È un “maledetto”, un artista senza compromessi ma che rapisce e quando lo fa non lascia scampo.

Banner

«Inutile girarci attorno: il primo impatto con lui è urticante, distopico, mette a disagio. Perché lui è diretto nel raccontare la verità della vita, ce la restituisce nella sua più nuda crudezza. La maggior parte delle persone però è abituata all’esatto contrario. La gente si costruisce intorno corazze, per nascondere la verità e apparire quello che non è. Ciampi, invece, della verità della vita ha fatto poesia. L’ha cantata spogliandosi di ogni ipocrisia e non è cosa da tutti. Ci vogliono genio e amore. Quale padre si sputtanerebbe davanti a una figlia incontrandola a cena, dicendole ho vergogna di me stesso ma io sono questo e non altro? “L’incontro” è una canzone struggente e piena d’amore. Se chi l’ascolta è in grado di valicare il confine del disagio e percepisce la bellezza di quell’amore, si lega a Piero e quel legame diventa presto indissolubile».

Pressoché ignorato in vita e oggi oggetto di culto tra i tanti appassionati. La storia si ripete, anche con Ciampi.

«Non lo ignorarono gli addetti ai lavori. Ennio Melis rischiò più volte il posto in RCA perché investire su uno che non rispettava i contratti significava rimetterci i soldi. Ma erano soldi… persi bene. Tenco non ascoltava la musica italiana, tranne Ciampi. È il più grande, disse a Sandro Ciotti in una intervista, anche se non lo conosce nessuno. Poi nell’89 è arrivato Zucchero, che senza tanti complimenti ha rubato, per così dire, a Piero un paio di versi mettendoli in musica: "Il mare al tramonto salì sulla luna e senza appuntamento dopo uno sguardo dietro tendine di stelle se la chiavò". La cosa viene fuori, scoppia una polemica, ma il grande pubblico scopre così un poeta dal linguaggio spiazzante e quindi moderno, innovativo, originalissimo, con una tecnica di scrittura rigorosissima, maneggiata con lucidità nonostante i fiumi di vino che la alimentavano. Un poeta ma con anche una sensibilità musicale spiccata, cresciuta all’ombra dei grandi, da Brel a Brassens a Ferré. Basta ascoltare “Tu no”, per accorgersi che non ha nulla da invidiare a “Ne me quitte pas”. Il culto ciampiano di oggi nasce da lì».

Ciampi e Catanzaro. Una storia che ha dell’incredibile. Ma cosa raccontare alla Catanzaro di oggi di quella storia di molti anni fa?

«Catanzaro ha il merito di avergli intitolato un giardino pubblico nel quartiere Lido, con un monumento che lo ricorda,  realizzato dall’Accademia di Belle Arti. Un bel gesto. Ma resta comunque una città molto diversa da quella che conobbe e accolse Piero e che da Piero venne amata con sincerità e slancio. Quella Catanzaro era più autentica, sobria e colta, con una borghesia illuminata, aperta e non settaria né spocchiosa. Di tutto questo oggi non vedo traccia, anche se però i segnali di un risveglio non mancano. Ci sono operatori culturali vivaci, che mi sembrano animati dalla voglia di ricostruire una comunità consapevole della sua storia. Confido anche nella politica, che ha il compito di indirizzare certi processi. La città ha scelto persone capaci e che stimo. Per elevare il livello di una comunità non basta disporre di spazi fisici, occorrono visioni e capacità di abbracciare e tenere insieme più fronti. Il grande evento è una buona cosa, ma da solo non basta a creare un gusto e una capacità anche critica di fruire della cultura».

A proposito di grandi eventi, il concerto del 9 settembre è dentro un cartellone e la location è fuori dalle mura cittadine: due novità, per un “solitario” come Peppe Fonte.

«Sono grato al Festival d’Autunno e a Tonia Santacroce per avermi voluto tra le date della kermesse. È un evento di tradizione, come si dice, e sento la responsabilità di ricambiare il privilegio che mi è stato dato. Quanto alla location, non ho difficoltà ad ammettere che conoscevo poco la Grangia di Sant’Anna a Montauro. Noi calabresi portiamo spesso la colpa di sottovalutare le stupefacenti bellezze che abbiamo ereditato dai secoli di storia che qui è stata scritta. È un bene culturale di valore enorme, ben tenuto e da qualche tempo anche ben valorizzato. Ho impiegato poco a sentirmi a mio agio tra quelle antiche mura, che ho percepito adatte a un concerto che sarà confidenziale e intimo. Ma d’altra parte, sono nato a Copanello, ho risieduto a Stalettì e sono stato pure centravanti del Montepaone. Più a casa di così. E poi io sono catanzarese, e Catanzaro è la sola città calabrese ad avere avuto sempre un legame indissolubile con il suo hinterland. La nostra costa del Soveratese e la nostra Sila sono sempre state il nostro buen retiro. Per noi non ha senso parlare di mura cittadine. Noi, semmai, costruiamo ponti. E il Morandi sta lì a dimostralo».

Ok. Messaggio ricevuto. E allora buon concerto, avvocato Fonte.

Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner