di FILIPPO COPPOLETTA
LAMEZIA TERME - Il ricordo, la memoria, la lotta condivisa contro la mafia, condivisa come quel destino a trascorrere una vita nella paura che entrambi hanno imparato ad esorcizzare con l’ironia che nascondeva una certezza che per Falcone si materializzò nel giro di poco tempo. Del suo rapporto con il magistrato siciliano ne ha parlato ieri sera a Lamezia Terme, Pietro Grasso, analizzando le pagine del suo libro “Il mio amico Giovanni” nel dialogo con il giornalista dell’Espresso, Enrico Bellavia.
Nell’ambito del festival Trame, l’evento lametino dedicato ai libri che parlano di mafia, Grasso giunge in piazza San Domenico accolto da un calore che si perde a vista d’occhio. Toglie la giacca e si accomoda sul palco. I suoi occhi sono rivolti in particolare ai giovani presenti, ai quali, nel corso della sua carriera, non ha mai smesso di parlare, facendo conoscere loro l’importanza dell’antimafia. “Un tempo mi trovavo dinanzi i giovani che avevano vissuto le stragi del 92 - ha raccontato l’ex magistrato - la loro consapevolezza, quel sapere esattamente dove si trovassero e cosa stessero facendo quando ricevettero la notizia degli attentati, quella consapevolezza l’ho vista affievolirsi col trascorrere degli anni. A casa i genitori non ne parlano più come un tempo e le nuove generazioni non sempre hanno contezza di chi fossero Falcone e Borsellino e ci si limita a definirli “eroi” senza riuscire ad aggiungere null’altro sul loro conto”.
Nel corso della serata, Grasso, ha ripercorso alcuni degli avvenimenti più importanti. Episodi, parole e gesti che ricorda con la lucidità di un ragazzino. “Chiamava mia moglie e le diceva «sto venendo a casa vostra, preparami quel piatto che l’altra sera mi è piaciuto tanto», era così Giovanni, un uomo semplice e ironico che trovava sempre il modo per scherzare, anche sulla morte”. Grasso ha ripercorso i giorni in cui fu designato giudice a latere del Maxiprocesso. Quel momento in cui gli venne mostrata da Falcone la stanza con i fascicoli, “oltre 400 mila pagine da leggere ed esaminare”. Ha ricordato quei nove mesi chiuso in camera di consiglio prima della pronuncia. Ma ha ricordato soprattutto quell’aspra campagna di delegittimazione nei confronti dei giudici. “La gente si lamentava per il disturbo che arrecavano le sirene della scorta, invece di comprendere l’alto rischio a cui ci sottoponevamo”, ha affermato, portando in esempio la pressione a cui erano sottoposti sapendo di avere “in panchina” dei giudici sostituti per “eventuali mancanze”.
Con un pizzico di emozione ha poi ricordato il Falcone dall’aria triste che gli diceva «Piero, vedrai, prima o poi la ragione prevarrà», “ci son voluti 500 chili di esplosivo per far prevalere questa ragione” ha aggiunto.
Avviandosi verso la conclusione dell’incontro e stringendo tra le mani l’accendino che gli regalò il suo amico Giovanni e che tanto avrebbe voluto restituirgli, Grasso ha poi detto: “questa fiamma vorrei fosse presa per accedere delle fiaccole in mano a tutti noi, ai ragazzi in particolare, così da alimentare e continuare l’opera di Falcone, perché con il suo esempio si potranno certamente costruire delle nuove generazione che miglioreranno senz’altro il nostro Paese”.
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