di MARIA GRAZIA LEO
"Il dolore vive nel valore della memoria e non c’è memoria senza conoscenza. A questa consapevolezza si è ispirato e richiamato il legislatore italiano –quando- ha deciso di istituire (con legge n.92 del 2004) il 10 febbraio come “Giorno del ricordo” solennità civile per la Repubblica italiana “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.
Una chiara ammissione dell’esistenza di errori commessi e responsabilità politiche nascoste la ritroviamo –nel 2007- nelle parole del presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano ( proveniente dalla “scuola” del vecchio Pci) il quale nel corso del suo settennato al Quirinale così affermava ”va ricordato l’imperdonabile orrore contro l’umanità costituito dalle foibe… e va ricordata la “congiura del silenzio”, la fase meno drammatica ma non ancor più amara e demoralizzante dell’oblio”. Anche di quella non dobbiamo tacere, assumendoci la responsabilità dell’aver negato, o teso a ignorare, la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica, e dell’averla rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali.>>
Ma cosa sono le foibe? Le foibe sono dei grandi imbuti rovesciati o inghiottitoi carsici nei quali venivano gettati i corpi delle vittime militari o civili, italiani, tedeschi e sloveni anticomunisti. In alcuni casi venivano riversati persone ancora vive perché non colpite o solo ferite. Questi inghiottitoi poi venivano fatti esplodere con le bombe in modo tale da nascondere al più a lungo possibile il posto e l’accaduto. La definizione di foiba è diventata, quindi, sinonimo degli eccidi commessi per fini etnici e/o politici ai danni della popolazione italiana della Venezia Giulia e della Dalmazia, anche se in realtà la maggior parte delle violenze e delle uccisioni veniva commessa nei campi di prigionia jugoslavi o durante la deportazione verso di essi. Non c’è una precisa quantificazione delle vittime, si oscilla tra i 5.000 e i 20.000. Si contano almeno in 250.000 gli esuli italiani che furono costretti ad abbandonare le loro case. Il periodo storico lo si può individuare durante la seconda guerra mondiale tra il 1943 e il 1945 e oltre il conflitto. Ma le cause in realtà sono antecedenti, ne segnaliamo alcune; 1) gli opposti irredentismi per cui i territori di lingua miste dovevano appartenere esclusivamente, all’uno o all’altro Stato; 2) gli effetti conseguitesi dal primo conflitto mondiale, con lo scontro diplomatico sui confini tra il Regno d’Italia e il neo Regno dei Serbi, Croati e Sloveni che comportò tensione etniche e compressioni delle rispettive minoranze; 3) L’avvento del fascismo che ha governato l’Italia per un ventennio, adottando una politica di annessione forzata delle popolazioni slave della Venezia Giulia e di occupazione di molte zone della Jugoslavia dalla quale scaturirono tanti crimini di guerra contro la popolazione civile inerme; 4) la guerra comunista di liberazione jugoslava- al comando del Maresciallo Tito- intesa non solo come liberazione “nazionale” ma anche come liberazione “sociale”, per cui la componente italiana non era ben vista, anzi la si considerava classe dominatrice; 5) Lo sviluppo in senso totalitario e repressivo del neo regime comunista della Jugoslavia.
I motivi politici che hanno causato le foibe sono stati da un lato l’annessione della Venezia Giulia-incluse Trieste e Gorizia- alla Jugoslavia, dall’altro l’avvento del governo comunista jugoslavo il quale temeva eventuali o potenziali oppositori alla sua linea politica, per cui occorreva fermare quelle classi dirigenti italiane di anti fascisti e resistenti allo scopo di impedire una rivolta organizzata. Rientrando ai nostri giorni precisamente nel 2001 dopo tante diatribe e difficoltà nel trovare una valutazione comune su quei terribili eccidi, l’istituzione della Commissione storico-culturale italo-slovena ha tentato di far luce, giungendo, ad una conclusione condivisa su quel periodo buio della storia: <…tali avvenimenti si verificarono in un clima di resa dei conti dovuti alla violenza fascista –brutale e repressiva- che ha cercato di snazionalizzare le minoranze slovene e croate nella Venezia Giulia e appaiono il frutto di un progetto politico preordinato di rivalsa da parte dei partigiani comunisti di Tito: eliminare soggetti e strutture ricollegabili al fascismo, alla dominazione nazista, al collaborazionismo ed allo stato italiano, assieme ad un disegno di epurazione preventiva di oppositori reali, potenziali o presunti tali, in funzione dell’avvento del regime comunista, e dell’annessione della Venezia Giuli al nuovo Stato jugoslavo…> Da parte slovena si ammise per la prima volta la violenza di Stato titina.
Ma addentriamoci ora sulla posizione tenuta dall’Italia. Una posizione non certamente lineare, diciamolo subito, priva di coraggio. Infatti la nostra nazione con la fine della seconda guerra mondiale non ha mai preso in grande considerazione tale vicenda, per convergenti interessi di governo e opposizione. Secondo lo storico Gianni Oliva il silenzio e l’oblio è stato scaturito a) dalla rottura tra Tito e Stalin nel 1948 che aveva comportato l’adozione di un silenzio internazionale con lo scopo di mantenere rapporti meno tesi con la Jugoslavia di Tito in funzione antisovietica; b) dal fatto che lo Stato italiano non parlava delle foibe per evitare di rispolverare la sconfitta nella seconda guerra mondiale e per non riaprire il problema dei molti militari italiani responsabili di crimini di guerra compiuti in territorio jugoslavo, per i quali essi non sono stati mai perseguiti. Non possiamo trascurare e non mettere in luce quel tacito assenso sul ‘silenzio’- durato decenni- tra le forze politiche centriste e cattoliche da un lato e di sinistra dall’altro, fino alla caduta del muro di Berlino nel 1989. Solo una parte della destra ha sempre ricordato le foibe- sostenendo le ragioni delle vittime- ma spesso strumentalizzandole in funzione anticomunista. Dall’altro lato del tavolo politico il Partito comunista italiano non aveva interesse a evidenziare le proprie contraddizioni sul caso e le proprie subordinazioni alle volontà del comunismo internazionale.
Bisogna comunque precisare che il Pci non ha avuto responsabilità dirette negli eccidi ma in un primo momento- durante il conflitto- aveva consentito nel lasciare alla Jugoslavia la Venezia Giulia e il Friuli sotto il controllo dei partigiani di Tito aprendo le porte alla successiva occupazione iugoslava. Poi ha richiesto che i territori assegnati all’Italia nel 1920 con il Trattato di Rapallo, passassero alla Jugoslavia perché sicuri che i diritti degli italiani abitanti in quei territori sarebbero stati tutelati comunque dal governo social-comunista. Infine quando è sopraggiunta la rottura di Tito con Stalin- a partire dalla metà del 1945- il Pci ha cambiato posizione assumendo la difesa della territorialità italiana della città di Trieste. Anche qui si possono notare incertezze e ambiguità pur se -per dovere storico di cronaca- le scelte dei comunisti italiani dell’epoca erano state -dal loro punto di vista- coerenti con il loro concetto di internazionalismo, secondo cui l’affermarsi del comunismo era un valore moralmente superiore a quello di patria e di nazione. Successivamente quando però ci si accorse della politica repressiva e autoritaria del Maresciallo Tito, molti ex partigiani e militanti italiani presero la via dell’esodo. E’ solo a partire dagli anni ‘90 che, riemergendo la storia delle foibe, i comunisti italiani contribuirono a far venire a galla la verità e a ricostruire quegli eventi tentando- comunque- di ridimensionare e giustificare le azioni dei compagni jugoslavi. Sarebbe auspicabile che di fronte all’orrore degli infoibati e non solo, d’innanzi al cospetto di tutti i casi di violazione dei diritti umani per motivi etnici, politici, religiosi, di razza, di sesso, le contrapposizioni ideologiche tra destra e sinistra, così come i tentativi negazionisti degli avvenimenti allo scopo di giustificare o negare o ridimensionare i fatti, trovassero sempre la fine per il rispetto dei morti, delle persone discriminate e per dovere di verità".
Testata giornalistica registrata presso il tribunale di Catanzaro n. 4 del Registro Stampa del 05/07/2019.
Direttore responsabile: Enzo Cosentino. Direttore editoriale: Stefania Papaleo.
Redazione centrale: Via Cardatori, 9 88100 Catanzaro (CZ).
LaNuovaCalabria | P.Iva 03698240797
Service Provider Aruba S.p.a.
Contattaci: redazione@lanuovacalabria.it
Tel. 0961 873736