Franco Brescia: "In Calabria il debito della sanità, peraltro in evoluzione, è insanabile"

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Franco Brescia
  10 dicembre 2020 09:20

di FRANCO BRESCIA

Che la sanità sia divenuta covo di malaffare non è solo una realtà di questa stagione e della sola regione Calabria. Nei fatti, riguarda tutta la penisola. Il fenomeno, già esistente pur se in misura minima sin dalla fondazione della Repubblica, ad ogni modo, ha subìto significativa  progressione  sin dall’emanazione della legge 132 del 1968 con cui si diede autonomia gestionale agli ospedali, pertanto divenuti enti ospedalieri autonomi con sostentamento derivante dalle rette di degenza a carico degli enti mutualistici, per ricoveri ospedalieri, e dal supporto finanziario dello Stato e delle Regioni, finanziato con pubblico denaro.

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Fu battezzata legge Mariotti prendendo, così, nome dell’allora ministro della sanità, socialista, il quale, nei fatti, con essa voleva dare avvio al progetto politico di sostituire l’impalcatura del sistema, concentrato nel potere degli enti mutualistici, costituenti baricentro del potentato politico elettoralistico della Democrazia Cristiana e, in parte, del Partito Comunista Italiano, per conferirlo invece agli ospedali  al fine di ricavarne tornaconto.

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Si trattava di un potentato derivante dal fatto che i direttori degli enti mutualistici - nella gran parte di appartenenza DC nonché del PCI ma solo nelle zone rosse da esso amministrate - facendo leva sul potere derivante dal proprio esercizio funzionale, riuscivano a farsi eleggere negli alti vertici istituzionali - Parlamento, Regioni, Provincie, Comuni e così via - con ciò, appunto, arricchendo  sostanzialmente la potenzialità governativa di questi due partiti, maggiori nel Paese

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In proposito basti considerare, infatti, che circa 200 direttori - in gran numero DC e in parte PCI - erano deputati e senatori, senza considerare il loro raggiungimento delle altre cariche istituzionali.

La ragione mariottiana era di ordine politico, dunque.

Nei fatti la tendenza consisteva nel voler sottrarre la gestione della sanità, nella quasi totalità detenuta da questi partiti, con l’intento di entrare nel suo governo utilizzando proprie rappresentanze negli Organi amministrativi ospedalieri - da istituirsi - per assumere potere politico.

Al fine di raggiungere lo scopo, il PSI di Mariotti, si alleò, perciò, con gli altri due partiti minori posti a sostegno della maggioranza governativa ( Partito socialdemocratico e repubblicano), che nutrivano eguale ambizione.

Realizzato il proposito, essi, ormai in combutta con i partiti di maggioranza, ed ognuno per la propria parte, sfruttando ogni occasione, non si posero limiti nel gestire la sanità ospedaliera - operativa con tutti i suoi riflessi sull’intera sanità - all’insegna del significato deteriore del termine, cioè come espresso e conosciuto nell’attualità ricorrente, peraltro dando avvio a spese folli da cui trassero arricchimenti illeciti di ordine personale e per i propri partiti.

Per raggiungere tali finalità non mancarono, perciò, di acquistare anche attrezzature oltre ogni limite o mai utilizzate allo scopo di acquisire tangenti, di assumere personale a dismisura senza che vi fosse necessità, ma per utilizzarlo come forza politica all’interno delle strutture. E così via.

Infatti, in breve tempo, il sistema sanitario andò in tilt, ovunque in tutta l’Italia, siccome soffocato dai debiti cresciuti in misura tale da non potere essere assunti da alcuno.

Ciò accadeva nel contempo in cui la gestione dell’assistenza ospedaliera veniva ripartita tra Stato e Regioni.

Il debito dell’ospedaliera, ad ogni modo, crebbe a dismisura non solo per queste motivazioni, ma maggiormente perché, in pari tempo, con la stessa legge, alle Regioni venne concessa la delega per la costruzione di nuovi ospedali, la trasformazione e l’ampliamento degli ospedali esistenti, nonché per l’acquisto delle attrezzature di primo impianto. 

Fatto è che, pure senza le disponibilità finanziarie di bilancio, le Regioni costruirono, sui loro territori, ospedali a dismisura, anche in assenza di effettiva necessità e, tante volte, solo per soddisfare esigenze di consiglieri regionali o di altre rappresentanze politiche appartenenti alla maggioranza governativa 

Con provvedimenti autarchici, quindi, le Regioni - tutte, indistintamente - crearono autentiche cattedrali nel deserto - rimaste poi in gran parte incompiute anche a distanza di decenni - in quanto solo per limitate quantità si riuscì a raggiungere la soglia dell’attuazione operativa.

Queste operazioni furono facilitate facendo leva sui finanziamenti facili e spesso incontrollati all’uopo concessi dallo Stato che, in tal modo, contribuiva ad arricchire il bagaglio del debito pubblico nazionale.

La gran parte di quegli ospedali non dovevano essere costruiti, dunque, perché, nei fatti, non rispondevano ad effettive esigenze assistenziali delle popolazioni residenti nei relativi bacini di utenza, atteso, peraltro, che furono disseminati intorno a strutture ospedaliere funzionalmente  adibite a soddisfare i loro bisogni di spedalità.

Prevalsero, quindi le ragioni politiche ma non le utilità delle popolazioni.

Un vero sviluppo ospedaliero doveva raggiungersi, invece, sulla base di una programmazione nazionale da parte dello Stato, da concertarsi con le Regioni, che coprisse le effettive esigenze territoriali, che, nei fatti, mancò.

I costi di costruzione di queste cattedrali dovevano essere a carico dello Stato, dalla cui incombenza successivamente si sottrasse a causa dell’aumento del debito nazionale, e delle Regioni pertanto rimaste le sole a dover terminare le costruzioni e a gestire l’impalcatura dell’intera assistenza ospedaliera.

A distanza di tempo, ogni Regione, a seconda delle proprie disponibilità finanziarie, adottò in merito le misure possibili con il significato che, date le costanti precarietà reddituali, in buona parte del Sud le problematiche sono rimaste irrisolte.

E così in Calabria dove il debito per dare corso all’attività assistenziale cresce progressivamente, perché, basilarmente, essa è fortemente penalizzata dai criteri di ripartizione del Fondo sanitario nazionale di assistenza per cui, per ogni suo abitante, essa ottiene un parametro retributivo minimo che è anche sei o sette volte inferiore rispetto a quello assegnato per abitante residente nelle altre regioni.

In altri termini, ciò significa che mentre, ad esempio, per un proprio abitante la Calabria ottiene 10, le altre Regioni incassano 20 o 30, o 40 e così di seguito, con l’ulteriore conseguenza che, oltre alle assistenze di base - i LEA - previste per ogni cittadino, a causa di questa disparità di trattamento, i calabresi non godono delle prestazioni integrative altrove erogate in favore dei propri residenti.   

D’altra parte è del tutto nota la sperequazione assistenziale esistente tra i cittadini italiani a seconda del loro domicilio.

Diventa del tutto chiaro che, per sanare questa aberrante discriminazione, di conseguenza, diviene indispensabile rivedere i criteri di ripartizione per ogni abitante del Fondo Sanitario Nazionale.

Tutto ciò accade e permane perché, evidentemente, in Calabria agisce una classe politica inefficiente in quanto non si sforza di assumersi le problematiche esistenti per agire per come dovuto in relazione al proprio ruolo al fine di cercare soluzioni, probabilmente per incapacità di comprensione o per lassismo.

In definitiva, in sintesi, stante la situazione esistente, il debito della sanità, peraltro in evoluzione, è insanabile.

Da qui la conseguenza che il cittadino calabrese ottiene prestazioni assistenziali ridotte rispetto a qualsiasi altro cittadino d’Italia e che gli ospedali rimasti languenti sul territorio rimangono tali.

Il Governo, tuttavia, per sanare la situazione debitoria della sanità calabrese, anziché assumersi a proprio carico il debito accumulato e garantire in prosieguo una quota di Fondo Sanitario Nazionale per abitante in misura adeguata per una sua corretta gestione, pertanto rivedendo i criteri di ripartizione in atto esistenti, invia, uno dopo l’altro, appositi commissari in pensione - appartenenti alla colorazione politica di uno dei partiti che lo compongono, peraltro senza dotarli di personale collaborativo adatto allo scopo - più che altro estratti dalle forze armate ritenendo che essa sia gestita dalla mafia che si abbandona a spese folli e che tutti i calabresi costituiscano una massa di mafiosi entro cui non esistono persone capaci di governarla.

Anche per ultimo, infatti, il Governo ha designato un prefetto fino a poco tempo prima nella carica di questore, nell’evidente convinzione che il popolo calabrese debba essere trattato con la verga.

E questo è insultante e indigna tutti gli abitanti perché nella quasi totalità dotati di perbenismo i quali, peraltro, godono di piena convinzione che nella sanità regionale esistono persone più che capaci a dirigerla, nel modo dovuto e in pienezza di autonomia.

Invia, il Governo, commissari, ad ogni modo, non all’altezza del compito che, di conseguenza, non riescono a sanare, in quanto insanabile, il principale problema rappresentato dal debito accumulato.

Di tutta la materia, come immaginabile, si sono occupati, indistintamente, tutti i mass media nazionali e la stampa internazionale, che hanno tratto materia per raffigurare il popolo calabrese come appartenente al terzo mondo, il quale necessita di essere trattato come tale, facendo anche ricavare la convinzione che il problema della sanità calabrese vada ricercato nel fatto che sia la mafia a governarla.

Mancando, invece, di evidenziare che la mafia, la camorra, la ndrangheta, la società dei colletti bianchi di eguale portata esistente oltre il meridione, eventualmente, sono presenti, con la loro carica operativa in tutte le Regioni d’Italia nessuna esclusa, nella sanità o in qualsiasi altra attività pubblica e privata.

I misfatti sono ovunque e sono stati presenti ovunque, come non ho mancato anche di evidenziare nel mio recente libro “la sanità catanzarese nella evoluzione storica e sociale” e, maggiormente, in quello in via di scrittura definitiva: “La sanità italiana -  storia, fatti, misfatti - .

Si inviano inoltre  i commissari per aprire anche i numerosi ospedali costruiti quasi mezzo secolo fa - di cui alcuni andati in funzione e poi chiusi perché, nei fatti, si era rilevato  non fossero necessari - senza considerare che si tratta di strutture obsolete, dotate di impianti altrettanto obsoleti e, quindi, inservibili e, prima di tutto che, semmai, opererebbero in mancanza di effettive necessità assistenziali della popolazione.

Da qui anche la domanda: dove procacciare il personale indispensabile per dare loro eventuale corso operativo quando già nelle strutture ospedaliere e nei poliambulatori esistenti si lotta fino a fare salti acrobatici per assicurare i turni di servizio.

Eppure, anche di questo argomento, diversi giornalisti di stampa e TV, pur non conoscendo la verità storica e la materia della sanità, ancor oggi, si prodigano per utilizzare anche ciò al fine di produrre, in gran quantità, scandalo e fango per affossare, ancora di più, la Calabria e il suo popolo.

 

 

     

 

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