Franco Cimino: "Aquile e Giallorossi, Catanzaro e il Catanzaro"

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Franco Cimino
  25 agosto 2025 15:04

 

“E FORZA CATANZARO!

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CATANZARO DEL PALLONE

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E CATANZARO CITTÀ

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I COLORI E L’AQUILA SONO

GLI STESSI

SOLO GLI “SPALTI” SONO DIVERSI.

QUELLI DELLO STADIO SONO STRAPIENI

DI UOMINI E DONNE DI TUTTE LE ETÀ

APPASSIONATI E FESTOSI

Gli “ SPALTI” DELLA POLITICA

E DELLA COSCIENZA CIVILE

ANCORA VUOTI

SE IL CALORE DI QUESTO BELLISSIMO

PUBBLICO, LA SUA GENEROSITÀ

AMCHE NELLA FATICA DI SOSTENERE

LA SQUADRA PURE NELLE DIFFICOLTÀ,

SI TRASFERISSE IN QUEL CAMPO

CHE CHIAMIAMO POLITICA,

LA CITTÀ RITORNEREBBE GRANDE

E SAREBBE GOVERNATA DAI SUOI

UOMINI MIGLIORI

FORZA CATANZARO TUTTA INTERA.”

Questo ho pensato e detto, a me stesso prima che agli altri ieri sera quando allo stadio ho visto un pubblico così bello e appassionato, che mi ha davvero commosso. Il pubblico dei nostri tifosi è uno dei primi motivi per cui vado allo stadio. Il primo spettacolo, umano e sociale, che precede e comunque resiste a quello che dovrebbe essere sempre lo spettacolo sportivo. Io vado allo stadio, anche se non prevalentemente per questo. Vedere quella folla, che muove al vento del proprio cuore e a quello che soffia perennemente sulla città e le bandiere giallo e rosse. Ascoltare i cori di incitamento, che per la loro bellezza quasi musicale, diventano un canto gradevole. Quei tamburi che lo accompagnano non sono colpi dell’annuncio di una guerra. Ovvero, bussate violente sulla pelle del tamburo per annunciare i colpi che saranno inferti all’avversario. Al nemico, come l’avversario è inteso in molti stadi d’Italia. Da noi no. I nostri tifosi sono tutti corretti ed educati. Rispettosi non solo degli avversari ma del gioco del calcio in sé. Che, non va dimenticato mai, è una delle massime espressioni dello sport. Uno di quei giochi in cui c’è tutto della regola sportiva. E della società. Tutto ciò che serve per esaltarla. C’è la preparazione e la fatica per realizzarla prima di scendere in campo. C’è il campo, lo spazio nel quale si muovono con le gambe dei protagonisti tanti valori. E tutti insieme. Una sorta di piazza, quell’antica dell’incontro e del confronto. Dello scontro e della competizione. Presentazione dei propri beni e la messa a profitto di ciascun di questi. C’è la parità e l’eguaglianza degli atleti in campo. Come condizioni di partenza uguali per tutti, che si modificheranno sullo sforzo che ciascuno farà per far prevalere o affermare le proprie qualità. Qualità che lo porterà, sfortuna a prescindere (chiamiamo così l’imprevista avversità), ad affermarsi sugli altri. Altrove si chiama talento e merito. C’è la competizione e se vogliamo lo scontro anche forte. Che potrebbe risultare duro e accettato se non ci saranno danni alle persone e alle regole. C’è anche il risultato di questo. Ed è nell’insuperabile apparente contraddizione e contrapposizione non mediaabile tra chi vince e chi perde. La terza, per quanto valga molto nello spirito sportivo, non riesce a eguagliare i due contrapposti risultati. É il pareggio, che in molti altri sport non esiste. Nel calcio sì. In campo c’è l’arbitrio, che con il potere della sanzione, vigila sull’obbligo del rispetto delle regole. In quella piazza c’è la leadership. Essa si articola in due momenti e in due figure. Il capitano con la fascia e l’allenatore in pachina. Su di loro ricade un elemento che rappresenta anche un valore inalienabile, la responsabilità. Fuori del campo, nella tribuna cosiddetta d’onore o nei nuovi spazi chiusi, che equivarrebbero ai palchetti nei teatri, c’è la proprietà e l’organizzazione. Quell’insieme di figure che prima del campionato allestiscono la compagine sportiva, dotandola di calciatori vecchi e nuovi. Altrove questo si chiamerebbe governo. Come si può notare la partita di calcio contiene tutti questi valori. Che vanno onorati nel modo più efficace. Anzi, nel solo modo consentito. Quello di concepire l’avvenimento che si svolge solo un fatto sportivo. E, cioè, una partita di pallone. Una semplice, bella partita di pallone. Non una guerra. Non un dramma. Non una lotta contro un nemico. Non una sfida per la vita. La vita è altra. E si trova altrove, sebbene il suo battito non si deve perdere in quella piazza. In quello stadio. Io vado alla partita principalmente per osservare queste cose. E per vedere la folla. E i tifosi che vi stanno dentro. Fin dove arrivano i miei occhi, io quella folla la scruto, la penetro, ne raggiungo il volto di ciascuno dei partecipanti. Mi piace vedere chi c’è. Che fa. Come si libera dalle frustrazioni della vita quotidiana e le consuma in quell’ora accesa di passione e di speciale umanità. Poi c’è il Catanzaro, che anch’io amo per diverse ragioni. La più importante è quella ti portare l’amore di mio padre per la squadra. Il mio papà, per lungo tempo non ha potuto vivere personalmente lì per impedimenti di salute, ma che seguiva ogni partita dalla sua stanza da letto attaccato alla radiolina che non sempre funzionava. E, però, non mi trasformo mai in uno degli undicimila allenatori, che giudicano la prestazione dal punto di vista strettamente tecnico, dimostrando di saperne più dell’allenatore in panchina e di qualsiasi altro esperto di calcio. Per cui, nonostante la delusione per la prima prestazione apparentemente opaca della squadra, non giudico la partita sul piano punti squisitamente tecnico. E il pareggio con una squadra che si è rivelata corretta e volenterosa, mi sta bene. É la prima partita. La squadra è stata rinnovata in più della metà dei suoi componenti. Le intese tra di loro devono aspettare ancora un po’ per arrivare. Come il pensiero dell’allenatore, ad essere compreso da tutti. Ciò che mi piace sottolineare è la presenza di tanti giovanissimi, che a vederli quando si avvicinavano ai Distinti sembravano davvero dei ragazzini, come quelli che ho visto per tanti anni dalla mia cattedra di docente. Ti fanno tanta tenerezza, che ti verrebbe voglia di scendere e abbracciarli. In questa osservazione mi piace sottolineare la bontà e l’ intelligenza del Presidente, che ha deciso, come da sua vecchia logica, di puntare sulla linea dei giovani e della valorizzazione della loro bravura. Catanzaro è il luogo adatto per fare maturare i ragazzi e far emergere in loro le qualità che possiedono. Siamo un pubblico sensibile e buono . Che sa aspettare. E incoraggiare. Lo abbiamo visto anche ieri sera. Dallo stadio però ci torno con un doppio sentimento. Contrastante pure. E riguarda sempre il motivo principale per il quale vado allo stadio. Il pubblico. La gioia di vederlo caldo, festoso e, come ho scritto prima, partecipe del destino della squadra. Il calciatore in più in campo, che spesse volte decide il risultato. Questo è il primo sentimento. Il secondo, ed è di melanconia, è quello di non vedere mai neppure un poco di questo calore fuori dallo stadio, quando ciascuno di noi ritorna ad essere cittadino. Non vedere questa energia, almeno in piccola parte, impiegata nel campo che più conta. Quello delle istituzioni e della Politica, lasciati troppo a lungo vuoti di loro. E al dominio incontrollato di quel manipolo di ambiziosi e procacciatori del proprio interesse personale, che lo occupano non sempre e non tutti con la dignità che è richiesta a quanti entrano nelle istituzioni per volontà del popolo. Percorro a piedi la strada che dallo stadio mi porta a casa. Non è lunga e non è breve. Ma è la misura giusta per consentirmi di aggiungere a queste due emozioni, la terza. É la speranza. La speranza di vedere presto proiettato, per farne la forza più contagiosa che si sia mai vista, quel sentimento verso il Catanzaro come forza d’amore per Catanzaro. Solo questo può unire i catanzaresi. E insieme portarli a fare la cosa che qui manca, l’azione più necessaria ad abbattere ogni incrostazione e resistenza negativa della vecchia politica. Rivoluzionarla, per cambiare il cammino della città più bella del mondo e restituirle davvero ogni sua bellezza. E l’autonoma capacità di proteggerla, curarla, valorizzarla. Perché Catanzaro città è più bella e cara della sua squadra. Quella nostra, del cuore.

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