di FRANCO CIMINO
Una festa. Sono qui da un po’ prima dell’ora del suo inizio programmato. Sta per iniziare e io già vibro d’emozione. La sala è strapiena. Gente in piedi fino a fuori. E non è una sala piccola. E quella delle culture . Al palazzo della provincia. C’è gente venuta da ogni parte della Calabria. Non pochi dal resto dell’Italia. Tante sono le personalità. Molte quelle importanti. Ma tantissime altre quelle più semplici, persone normali per gente normale. Persone semplici di umile origine e altre ancora di umiltà confermata nel loro vissuto. Ci sono i militanti e i dirigenti del suo partito, gli amici nel suo partito e altri che nella comune appartenenza gli furono meno amici. Ci sono personalità di altri partiti. Di tutti i partiti, da destra a sinistra. I quasi partiti di oggi e i partiti che furono.
Ci sono tanti e ci sono tutti. C’è la sua Città. Presente non solo con il Sindaco e il presidente del Consiglio Comunale. Ci sono anch’io, democristiano fermo alla lunga e non conclusa, sebbene interrotta, stagione politica. Quella in cui mi è stata data l’opportunità di conoscerlo, stimarlo, ammirarlo, eleggerlo quale altro maestro dal quale tanto ho appreso. Lezione di vita, la sua. Vita adamantina, ricca di passioni e di idealità. Vita coerentemente spesa per gli altri. Altri intesi, come l’altro da rispettare e sostenere e come insieme di esseri umani da onorare, servendoli nelle loro capacità e nei loro bisogni. In particolare gli ultimi, i poveri, gli indifesi, a cui offriva non solo il suo spirito di solidarietà concreta, altrimenti intesa come carità, ma gli strumenti della politica per affrancarsi loro stessi con le lotte contro l’ingiustizia e per la democrazia. Ecco la Giustizia, quale atto solenne della Democrazia. Il mezzo più sicuro per praticarla, attuandola.
Gli altri da servire sono le istituzioni, templi laici della e per la Libertà, l’idea sua più ferma, quasi un’ossessione incancellabile. Le istituzioni in cui si realizza ha partecipazione più feconda. E la sintesi più alta della Politica, quando essa è chiamata a costruire l’unità delle e nelle diversità. Quell’unità che solo la Politica può realizzare per quella sua capacità di costruire un’idea compiuta dalle altre divergenti che non perdono, pero, mai nulla del loro stato. Gli altri che sono il suo partito, il PSI, partito sempre servito. mai tradito. E mai abbandonato, neppure quando gli infedeli interni e i nemici esterni, lo fecero “sparire”. Gli altri sono la parola, la sua, aulica, robusta, alta, nutrita di dottrina e sentimenti. E anche di poesia, quella che gli scorreva nel sangue da quella del padre, anche poeta. Gli altri che sono gli amici, da sorreggere in ogni momento, in quello spirito di amicizia che è il sale della relazione umana. Gli altri che è la famiglia. I figli amatissimi e quella moglie adorata, che l’ha lasciato molto tempo prima che Lui ci lasciasse. Gli altri sono il dolore, che Lui ha sempre vissuto con un coraggio e una dignità enormi. Gli altri sono “ quel dolore” che gli è rimasto impresso negli occhi sempre velati di pianto soffocato e in quel sorriso suo bello, piegato nella tristezza infinita. Tutti siamo venuti per lui. Stasera. Per rendergli onore. Per ringraziarlo. Di tutto. Per ogni sua fatica al servizio della Calabria e del Paese. Per l’Amore di cui ha riempito la sua vita e la sua fatica. Siamo venuti per Lui per sentire ancora la eco della sua parola e quel respiro mai affannoso della Libertà.
Per ringraziarlo di averci insegnato che la Democrazia è sempre “antitotitaria”e che essa o è piena o non è. Per averci dimostrato, spronandoci e ammonendoci, che Libertà non è un lusso, ma un diritto che si carica del dovere di essere per tutti. E che Democrazia non è un salotto comodo o una sala giochi, ma l’ambito nel quale Libertà vive e si organizza, promuovendo il progresso e realizzando l’eguaglianza. Eguaglianza non semplicemente come obiettivo politico, ma come conseguenza della Libertà. Siamo tutti venuti per Lui, Mario Casalinuovo, il socialista. L’uomo della Libertà. Oggi nel giorno della sua festa. Per la quale io, democristiano, ho pensato di indossare la cravatta rossa. Il colore della sua bandiera. E del suo cuore.
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