Franco Cimino: "E, però, il nostro nemico non è Muccino e il suo film sbagliato. Il nemico siamo noi"

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images Franco Cimino: "E, però, il nostro nemico non è Muccino e il suo film sbagliato. Il nemico siamo noi"
Franco Cimino
  23 ottobre 2020 22:28

di FRANCO CIMINO

Gabriele Muccino ha fatto più danni che piaceri, anzi “ favori” come chiamiamo da queste parti le buone cose che ci vengono donate. Le sue francamente sono costate tra l’altro pure molto. Ma veniamo ai danni. Quelli alla Calabria sono incalcolabili tanto da portare molti a chiedere che il film “ promozionale” venga ritirato da ogni circolazione e a chiamare ai danni in sede legale almeno quanti hanno avuto la responsabilità del fatto. Restituire la cifra impiegata per quei sei minuti dannosi è una delle vie che si vuole perseguire. I soldi, però, non vanno richiesti ai realizzatori del corto, che la fatica, e tanta, hanno comunque impiegato, ma a chi l’ha commissionato, la giunta regionale, cioè. E in particolare, quanti avrebbero dovuto visionare il film prima che venisse presentato al mondo attraverso l’elegante vetrina del Festival del Cinema di Roma. Se poi questa visione fosse avvenuta almeno al cospetto del presidente facente funzione, Nino Spirlì, considerato, da persone autorevoli della politica delle sue parti, quale “uno degli intellettuali più colti mai visti”, la responsabilità sarebbe ancora più grave. La stessa di coloro che hanno lasciato quel “ dove vuoi che ti porto” a trionfare sull’intero filmato dal titolo molto suggestivo “ Calabria, terra mia ”. Gli altri danni, il famoso regista “dei due mondi” li ha procurati a se stesso e alla coppia innamoratissima della propria bellezza, Raul Bova e Rocio Munoz Morales, la moglie.

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È facile immaginare che il mondo dello star sistem non perdoni quella loro recitazione goffa e melensa e al regista quella mancanza di creatività che lo ha fatto scadere nel banale e nel noioso ripetitivo di immagini della Calabria vecchie e stereotipate. Ha fatto pure danni a questa giunta e questo centrodestra che, come i governi e i governatori che li hanno preceduti, hanno utilizzato ingenti somme per propagandare se stessi attraverso la promozione dell’immagine della nostra terra. Ci sarà anche questo buffo atteggiamento tra i motivi che hanno portato tutti i governi uscenti a perdere le elezioni? Io credo di sì. Un merito straordinario, però, Gabriele Muccino l’ha conseguito: ha unito i calabresi, dentro e fuori regione, di destra di centro e di sinistra, nella indignazione verso quel film. Il giudizio unanime, in parte feroce, in parte ironico, in parte compassionevole, è stato tranciante. Tuttavia, la risposta data dal regista, a mio avviso, è stata più fastidiosa del film. Se la sarebbe potuta risparmiare, specialmente quella indirizzata a Iole Santelli, a cui Muccino sembra aver assegnato la responsabilità del soggetto, della sceneggiatura, della scrittura intera del film, compresa la scelta degli attori. È mancato solo che le mettesse in mano la cinepresa e “ il solo colpevole” è ben fotografato. A mio avviso è stata una brutta caduta di stile, di cui il regista dovrebbe scusarsi. Detto questo, torniamo all’unità dei calabresi. Essa è ricorrente. Quella odierna non è la prima e non sarà l’ultima. Considerato che sono tante e mai si interrompono in una Calabria che non cammina e non progredisce, occorre domandarsi se queste “ incendiarie” unità siano un bene o un male o se non si possano tutte insieme inserire nel lungo elenco dei vizi calabresi. La risposta, la mia, è che sono inutili e ingannevoli e in quanto tali si iscrivono sul libro dei nostri vecchi vizi, tra i quali vi è quello di incendiarci come un fiammifero di indignazione quando qualcuno, che non sia calabrese, attacca la Calabria. Vi ricordate quando eravamo ragazzi( forse, lo fanno anche i nostri lontani coetanei di oggi), ci si sfotteva su tutto e spesse volte si andava sotto, senza tema di aver vissuto anticipatamente il veleno del bullismo attuale? Ci si sfotteva e di brutto e poi si andava a bere la gazzosa. Ma quando, per paura di subirlo, lo sfottò, il solito cretino lanciava la classica offesa nei confronti della madre o della sorella dell’antagonista, erano botte da orbi, assalti con le baionette. “A mammà on si tocca e neppure sorma!”Era questo il motto lanciato nell’aria a mo’ di grido di battaglia. Che poi della sorella non ce ne si curava affatto o della propria mamma “avvelenavamo” il sangue, poco importava. Ciò che era insopportabile era l’offesa del nemico. So che il paragone se non stupido è di certo eccessivo, ma non me ne viene un altro per stigmatizzare questo nostro vecchio difetto. Difendere, cioè, la Calabria dalle parole( e solo da quelle, poche volte dagli atti)offensive dei “ nemici”. Il difetto, quindi, di cercare sempre negli altri il nemico e di perderci tempo e fatica per combatterlo. Ma il nemico, questo da noi inventato, quasi sempre o si nasconde o non si vede. Esso non si materializza perché non esiste nella sua pericolosità. C’è un nemico vero che, invece, ci cammina a fianco e un altro che ci sta davanti. E non li vediamo. Non li vogliamo vedere. Per paura o per convenienza. Per viltà o per insipienza. Siamo noi quel nemico che ci cammina a fianco. Noi, migliaia di calabresi senza identità e anima di popolo, che ci dividiamo su tutto e mai il misero pane malfermo indurito nei secoli di povertà e miseria. Noi, che guardiamo sempre più stancamente al nostro piccolo particolare e mai all’interesse generale. Noi, che ci facciamo trattare come clienti da politici di poca cultura e di scarsa sensibilità e al massimo cambiamo “ cavallo” perché non abbiamo ricevute le risposte al nostro interesse particolare, e però da quello spazio ristretto e angusto, dove la politica non c’è più da tempo, non ci spostiamo di un millimetro. Noi, che cediamo la nostra sensibilità culturale, la nostra capacità imprenditoriale e il nostro bagaglio culturale, artistico e creativo, a qualche notabile di turno nella speranza che ci possa favorire “ premiandoci” attraverso quella banca macina soldi, da elargire a pioggia, che si vuole sia la Regione. Noi, che dinanzi allo sfruttamento della nostra terra, al continuo furto di ogni sua bellezza da parte dei soliti noti che si arricchiscono volgarmente in suo danno, restiamo a guardare, indifferenti anche dinanzi alla molteplice violenza, diffusamente mafiosa non solo ‘ndranghetista, che quasi sempre a quei crimini si accompagna. Noi, che, impigriti, restiamo sotto l’eterno sole della incompresa infinita primavera calabra, che vorremmo fare la rivoluzione di domenica mattina quando tutti i negozi e le case e le piazze sono chiusi. Noi, che quando non ne possiamo più di questa brutta politica, invece di inventarne una nuova, non andiamo a votare, lasciando che la musica se la ballino e se la suonino gli stessi che vorremmo cambiare. Noi, quindi, il nemico di noi stessi e dei nostri figli, a cui non abbiamo insegnato l’orgoglio della calabresità autentica e quella voglia incontenibile di cambiare il destino della nostra gente a costo della loro stessa vita.

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L’altro nemico ci cammina davanti. Si è posto, e imposto, a nostra guida e lo lasciamo fare. Lo lasciamo indisturbato quando ci deruba delle nostre ricchezze, rovina la bellezza della nostra terra, la consuma fino a metterla in pericolo anche del suo sfarinamento oltre che della sua frantumazione. Lo lasciamo farsi potere emergente dal sottosuolo e dalle caverne dove, alleatosi con quei poteri nascosti, violenti e corruttivi, ha fatto della malvagità e dell’egoismo, il suo strumento di persuasione e l’abito con cui si presenta al potere democratico per piegarlo alle sua brama di ogni cosa. Il nostro nemico è l’alibi per le nostre mancate responsabilità anche individuali e l’assoluzione per le colpe collettive. Di non esserci mai trovati insieme, in particolare, per combattere l’unica battaglia possibile, quella della liberazione. Di tutto. Di noi, dal nostro nemico invisibile. Della Calabria, dal suo nemico visibile. Fino a quando non troveremo il coraggio di fare esattamente l’opposto di quel che abbiamo fatto finora, iniziando da subito a mettere insieme tutte le vere energie del cambiamento, ciascuno pagando un costo personale e il proprio debito verso la nostra terra, la Calabria non cambierà. Ed essa, per lo stato in cui si trova, si consumerà nel tempo che per lei è già finito.

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