Franco Cimino: "Ennio Morricone e la sua lezione di umanità e bellezza"

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Franco Cimino
  07 luglio 2020 20:45

di FRANCO CIMINO

Quando l’emozione si fa incanto, la commozione dolore, l’inatteso sorpresa, lo stupore meraviglia, la notizia tutt’uno con la televisione, il giorno improvvisamente diventa notte. E fino a notte poi resti attaccato al televisore e non ti muovi per nulla. Vorresti scrivere qualcosa e non riesci, quel mistero ti attrae fortemente, come la domanda che lo accompagna. Nella notte di lunedì sei luglio, in un ospedale della sua Roma, si spegne il cuore generoso e la mente geniale di Ennio Morricone. Aveva novantuno anni, tutti portati bene che non li ha mai dimostrati, gli anni, durante quella vecchiaia che non ha mai dato segni di cedimento psico-fisico.

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Il maestro per eccellenza, infatti, ha lavorato fino alla fine. Studiando sempre, come egli amava dire, ché la musica è passione se la senti dentro o la ascolti. Ma se la crei, la comandi, la suoni, la leggi negli altri musicisti, la devi studiare a fondo. Ininterrottamente, senza mai sentirti arrivato, la musica affidata al genio e alla sensibilità umana non finisce mai. È come l’Universo. 

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C’è qualcuno che può dire dove inizia e dove finisce? Anche se fosse vero ciò che è stato affermato tempo fa da un genio della musica, or non ricordo il nome, che essa si forma da pochi elementi che creano melodie che in fondo sempre si ripetono, somigliandosi o clonandosi  addirittura, la sua capacità di crearsi da qualsiasi nota é infinita. Qui i generi musicali non c’entrano, sono come pacchetti diversamente colorati e di forme e misure diverse, in cui ci metti sonorità apparentemente nuove, adatte al mutare dei tempi e sempre al seguito o avanti alla gioventù, il miglior fruitore o consumatore del prodotto. La musica, invece, quella vera, scende da qualche parte nella testa del musicista e da lì si muove, verso quelle mani, su una carta che diventerà spartito, sullo strumento agitato come il vento, poi nell’aria e nel cuore di chi ascolta. Di suonata in suonata, di disco in disco, di canticchio in canticchio, di radio in radio nelle sue molteplici amplificazioni tecnologiche, la musica cammina. Quella semplice cammina. Quella alta vola. La musica comune dura una stagione, un tempo breve comunque, poi si polverizza e si disperde. La memoria a stento la trattiene, con maggiore difficoltà la richiama. La musica alta, invece, resta. Passa di stagione in stagione, di anno in anno, di secolo in secolo, attraverso il tempo e si eternizza. Come la Poesia.

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Le poesie, quelle che scriviamo tutti, pur se ci commuovono, le appendiamo al cuore di chi ci vuole bene e per generosità ci legge o ci ascolta. Ma siamo noi a scriverla, anche se sotto dettatura di una grande emozione o di un sentimento forte che danzano sulla nostra sensibilità. La Poesia, quella che Dio consegna a pochi eletti per dimostrare che esiste, vive per noi e per quelli che verranno dopo di noi per generazioni e generazioni, sconfigge il tempo per dimostrare che il tempo non esiste. La Poesia, la musica e ogni forma d’arte, nascono e vivono nell’infinito. Ennio Morricone è l’artista totale, il genio assoluto. Un dono di Dio. Come ogni vero artista, un Suo figlio prediletto. Una sorta di messaggero della Sua bontà, un angelo. Mi verrebbe di dire, ma mi trattengo, un profeta, e ... posso? un figura simile al Messia. Il Maestro delle cinquecento composizioni, delle molte centinaia di direzioni d’orchestra, il musicista dalle innumerevoli esibizioni da solista, il prolifico arrangiatore e autore di musiche per ogni genere musicale, il pluricandidato agli Oscar e vincitore di due( quello alla carriera- per rimborsarlo evidentemente dei cinque che gli sono stati sottratti dal sistema americano-nel 2007 e l’altro per  per la colonna sonora di The Hateful Eight,  del grande Quintin Tarantino, nel 2016) ha vissuto fino a novantuno anni. Sono tanti? No che non sono tanti, altrimenti il mondo intero non lo piangerebbe di dolore vero. Tuttavia, lui come ogni essere umano, di più se artista, che vivesse venti o cento anni, quel che conta è come li abbia vissuti. Importa per tutti come si vive la vita, quale senso le si sia dato, le cose fatte non per se stesso ma per gli altri. Ennio Morricone ci lascia tanto e di più e non perché sia vissuto a lungo. Ci lascia, di certo, musiche stupende, irripetibili. Quelle che hanno reso più grandi e monumentali opere cinematografiche già maestose, ma che senza le sue creazioni, forse, non avrebbero raggiunto i successi che hanno avuto. Ci lascia canzoni che canticchieremo nei momenti del bisogno di leggerezza, le melodie che ci hanno fatto innamorare e quelle che compongono la colonna sonora della nostra vita.

Ci lascia i “ dischi” che faremo ascoltare ai nostri figli di ogni generazione a venire. Ci lascia l’orgoglio di sentirci italiani perché lui era italiano pieno, tra l’altro anche della sua romanità. E quello di sentirci cittadini del mondo. Il mondo che lui ha girato, portandogli  in omaggio la grande cultura italiana, la cultura classica nelle sue molteplici forme espressive e contaminazioni nel tempo.

Ci lascia, soprattutto, la sua bella umanità e la sua bellezza di uomo integrale, il più grande insegnamento per tutti. Imparare la sua musica o a suonarla non è per tutti. Ma imparare la sua umiltà e la sua bontà ciascuno di noi può provarci. A essere umili e semplici.

Se lo è stato un immenso genio, celebrato dappertutto con gli onori più alti, possiamo sforzarci di esserlo un poco anche noi che non siamo nulla. Ci lascia la  sua spiritualità, sempre tesa verso l’Altrove e il suo sguardo al Cielo. Ci lascia l’esempio della sua fede vissuta fino alla fine, nell’intensità della preghiera. E quel suo domandare, pur nella certezza dell’Esistente, su cosa troverà dall’Altra parte, chi incontrerà e come si si sarà diventati nel proprio trasfigurato essere mortale. Ci lascia l’Amore, il suo significato più profondo. L’Amore donato e quello ricevuto. La gratitudine che dobbiamo manifestare per averlo ricevuto sempre al doppio di quanto lo si sia concesso. Ci lascia quel necrologio “ composto” dalle sue mani. Uno scritto che è un testamento, la sua ultima musica, la sua poesia. E quella sua discrezione, che imbarazza quando dichiara di voler andar via senza solennità pubbliche per non disturbare nessuno. Infine, ci lascia la più bella dichiarazione d’amore che si sia mai ascoltata in questi tempi inariditi da egoismo e paure. È rivolta a Maria, la moglie, compagna di una vita da cui ha avuto i suoi quattro figli. Poche parole, semplici, profonde come il mare:”a mia moglie rinnovo l’amore straordinario che ci ha tenuto insieme. A lei, il più doloroso addio.” 
                                                                                             

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