Sono contento per l’annullamento della condanna a Giuseppe Falcomatà sancita ieri dalla Suprema Corte. Sono contento per ragioni della Politica e della Democrazia, fortemente intrecciate a quelle umane, ché la vita delle persone viene sempre prima di tutto. Su queste ultime, però, non mi soffermo, per evitare di scivolare nella retorica a buon mercato. E nell’ipocrisia per essere stato anch’io parecchio distante dalla sofferenza umana che ha colpito un uomo, un padre, un marito, un figlio, un cittadino, che, nonostante il suo ruolo esposto a ogni pericolo, arriva sempre impreparato a incidenti che ne danneggiano la serenità. Non entro neanche, come da mia abitudine su questioni riguardanti l’iter giudiziario di un fatto, neanche nella sentenza in sè, di cui ancora neppure gli avvocati delle parti ne conoscono la sostanza giuridica. E neppure nella disputa, sotto molti aspetti strumentale, intorno al mantenimento o no del reato per cui il figlio dell’indimenticabile Italo era stato condannato e poi sospeso dalle sue funzioni, l’abuso d’ufficio. Intendo, qui, soltanto esprimere la mia gioia per il ritorno, stavo per dire restituzione, del sindaco nella Città che l’ha eletto.
E sulla quale pesano e peseranno questi due anni di “ squalifica”. Io non sono del PD, che in verità molto poco si è visto accanto al “ reo”, suo militante e dirigente. E lui non è mai stato democristiano, nonostante la stretta vicinanza affettiva con il cognato, Demetrio, che per lungo tempo lo fu. Riporto solo una mia “ giovanile” riflessione, prodotta, nella mia accesa militanza politica, su spinta dei principi cui mi sono formato, e a cui sono tuttora ancorato. Essa si muove su due linee parallele, che si incontrano in un punto chiaro. Chiaro perché illuminato dalla ragione, la Persona e la Libertà. Se la Legge è “uguale per tutti e tutti i cittadini sono uguali dinanzi alla Legge”, non è sempre vero che taluni, in quanto appartenenti a specifici ruoli sociali, lo siano. Intendo dire che non sempre a tutti i cittadini si possono applicare quegli elementi strumentali rispetto alle leggi, che non poche volte disturbano anche la stessa ragione della Legge. Ne sottolineo alcuni: se è ancora possibile, assurdamente, che un cittadino riceva, nel processo che lo riguarda, il giudizio finale dopo molti anni, ciò non può avvenire per un amministratore pubblico o un esponente politico, portato in giudizio per fatti che riguardano il suo ruolo. E questo, a mio avviso, perché, se la responsabilità di un atto, pure delittuoso, è sempre personale, quando esso si consuma nell’attività istituzionale diventa pubblico. È anche, direi soprattutto, perché la società da quel processo, come delle sue conseguenze, riceve un diretto interesse. In particolare, se la persona indiziata di reato, o sottoposta a giudizio, quel ruolo pubblico l’ha assunto per esplicito mandato degli elettori, a cui la Costituzione assegna, non va dimenticato, la rappresentanza della sovranità popolare. Si badi bene, ciò che più conta in Democrazia, non è il vuoto di potere amministrativo(o il mezzo vuoto per l’intervenuta momentanea sostituzione), che si verifica a seguito delle prime “ sentenze”. Conta, assai di più, il vuoto democratico causato dalla obbligata uscita di scena di colui che ha ricevuto il mandato elettorale. Non si deve toccare, pertanto, a mio avviso, se non per gravi e comprovati motivi, attinenti anch’essi al riflesso pubblico della responsabilità individuale, un eletto del popolo che sieda su posti di evidente impegno politico. È questo ruolo che fa dell’eletto un cittadino diverso, pur nella parità rispetto a ogni altro, anche quando lo si chiama a rispondere dei reati ascrittigli. È, dunque, egli un privilegiato? Assolutamente no. È un cittadino che deve essere giudicato secondo tempi che siano in generale i più brevi( due anni e più sono lunghissimi) e, nello specifico, brevissimi, mentre, nella sua qualità di amministratore, deve poter continuare a svolgere pienamente le sue funzioni istituzionali, fino a quando sentenza definitiva non ne determinerà l’eventuale decadenza. C’è di più. È il diritto dei cittadini di sapere se chi hanno eletto, (al di là del loro personale giudizio che dovrebbe essere sempre rigoroso su ciò che essi vedono e non su quanto i magistrati accerteranno)è un bravo politico, che ha servito con dignità e onore le istituzioni, ovvero un uomo poco capace di rigore morale. E di quella responsabilità alta, nella quale l’onestà, prima che il rispetto delle leggi, rappresenta una delle condizioni essenziali alla Politica nel suo più intrinseco valore umano. Sono, allora, contento per Giuseppe, l’uomo che ritorna alla serenità perduta e alla piena fiducia della gente, forse attenuatasi progressivamente. Sono contento maggiormente per il ritorno del sindaco che la Città di Reggio Calabria ha scelto tre anni fa e che da questa vicenda ha subito danni enorme, che nessuno riparerà mai adeguatamente. Bisogna cambiare la norma, quindi? È l’altra domanda. No, non credo. Non ancora. Non saprei, tra l’altro, quale sia, oggi, il modo più sereno per accelerare il varo di un’altra più “ giusta”. Basterebbe, tuttavia, solo il buonsenso di chi nella Giurisdizione ha il compito di applicare quella in vigore. Prudenza, tanta prudenza, prima di impiegare un qualsiasi provvedimento restrittivo delle libertà, e personali e di funzione e di azione, di un rappresentante delle istituzioni democraticamente eletto. Il pensiero attento del decisore, nel ruolo più fragile e forte nel contempo, deve essere allungato anche alla istituzione e al luogo in cui quella istituzione vive anche dell’anima del luogo. Lo sconcerto, la sofferenza, la confusione e, perché no?, la sofferenza che si ingenera nella gente, è pari alla perdita di prestigio e di credibilità delle istituzioni. Faccio rapido riferimento ai due casi, più vicini anche nel tempo, vissuti drammaticamente da due istituzioni diverse. Il primo è l’arresto, in pieno servizio, dell’allora presidente del Consiglio Regionale, dopo pochissimi giorni scarcerato e dopo molti mesi alleggerito, quasi prosciolto, dalle gravi accuse rivoltegli. Il secondo, l’inchiesta che ha occupato per mesi le cronache dei mass media nazionali, relativa alla famosa gettonopoli, che ha coinvolto il novanta per cento dei consiglieri comunali ledendo il prestigio della istituzione e della stessa Città. Inchiesta pesante, anche per le conseguenze, pur se involontarie, che essa ha prodotto negli equilibri politici ed elettorali determinatisi fin qui. Trarre da questi fatti l’insegnamento migliore, credo che sia un dovere per tutti.
Esso è che ciascuna persona, che abbia a che fare con le istituzioni democratiche, ne abbia il massimo rispetto. Tutti. Quanti operano in esse, per volontà popolare, lavorando intensamente con coscienza libera e mani pulite. Quanti, i cittadini, chiamati a formare la rappresentanza, vigilando costantemente con rigore e senso critico sul personale che hanno votato ed eletto. Quindi, anche su coloro che non hanno conquistato il seggio e continuano, come sarebbe sempre giusto, a fare politica. Infine, la Giurisdizione, impegnando sé stessa a valutare le ipotesi di reato ricadute su singoli rappresentanti istituzionali, con rigore e prudenza. E aggravata responsabilità rispetto al fatto che la loro azione abbia, comunque, una pesante ricaduta sulle istituzioni e le comunità amministrate. La crisi della Democrazia, che facciamo finta di non vedere, può finalmente essere affrontata se ciascuno di noi avrà iniziato a fare il proprio dovere. E con la responsabilità che il compito e il ruolo assegnatogli richiedono.
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