di FRANCO CIMINO
Stanno per arrivare. Puntualmente. Ogni anno. Da secoli. Sono tre. Come i Re Magi. Tre, come la dialettica hegeliana. Tre, come la Santa Trinità. Tre, non a caso come gli elementi costitutivi della persona, per noi cristiani creata da Dio a Sua immagine e somiglianza. Una è la Nascita. Due sono i Natale. Nasce il Bambino, nel rito cattolico e nella “letteratura” Cristiana. Nasce anche secondo le tradizioni dei luoghi e le culture che le custodiscono. Specialmente quelle popolari. In ogni parte del mondo, la Nascita assume quei contorni della diversità che la impreziosiscono. La fanno diventare propria. Tanto che la spiritualità legata alla emotività, la rendono sempre più prossima a noi. Accade in ogni confine e lo supera. La Nascita è propria di quel luogo. Poi, di quella comunità. Inoltre, di quella famiglia. Infine, della singola persona. La natività è parte di ciascuno di noi. Paradossalmente, se si è dentro quella cultura, anche di chi non ha un credo religioso. Nasce il Bambino, uomo o Dio, figlio di Maria donna e di Giuseppe uomo o della Madonna e di Dio Padre. Nasce ed è di chi lo sente. Di chi lo vive nella dimensione che vorrà dargli. È Gesù, “cancellatore” dei nostri peccati, il Salvatore del mondo. È il rivoluzionario, che lotta contro il potere e l’ingiustizia, lo sfruttamento dell’uomo e l’ingiustizia contro l’uomo. È il figlio di Dio, che fattosi carne si fa crocifiggere per noi. È il ribelle che dona la vita per la libertà degli uomini. La Nascita è atto universale, perché ciascuno la può rendere propria. È Natale, quindi. E lo è in tutto il mondo. La Nascita è una. “Il Natale”, invece, sono due. C’è il Natale loro e il Natale di quelli là. Il Natele dei ricchi e quello dei poveri. Di quelli che fanno la spesa strariempiendo i carrelli e le auto. E di quelli che ai negozi neppure si avvicinano. C’è, poi, un terzo e un quarto Natale. Un quinto e un sesto. Si aggiungono per frantumare il numero perfetto e l’intima religiosità che lo anima. È il Natale di quanti, con il cappello o il bicchiere di carta in mano sostano intere giornate davanti ai negozi e supermercati, ai bar e alle chiese. Chiedono la carità a quel Natale da loro lontanissimo. C’è il Natale di chi non ha nulla, neppure il coraggio o la disperazione, per chiedere. E si chiude in casa, inizialmente facendo un po’ di rumore per ingannare di falsa gioia i vicini di casa. Che, in molti, magari, staranno facendo la stessa cosa. Il Natale degli uomini e delle donne sole, ammalati gravemente di solitudine grave, indotta o procurata. Di emarginazione e di isolamento. Il Natale dell’odio e del rancore. E quello delle guerre. Il Natale di chi muore. Nel letto delle malattie o nei viaggi dell’unica speranza. E negli anfratti delle strade del mondo, i giovani ingannati dalle false promesse di felicità. E i deboli di ogni natura a cui è stata negata la bellezza della loro fragilità. Si dice, “vai pure a contarli tutti questi Natale, tanto ci sono sempre stati!” Ed è vero. C’è una differenza, però. Essa è data dalle proporzioni, dalla qualità, e dall’ampiezza dei singoli Natale. E dal rapporto che intercorre, anche questo quantitativo, tra di loro. Si è di molto ristretta la fascia del primo Natale, quello dei ricchi. E di gran lunga allargata quella dei poveri. Sono pochissimi oggi i ricchi. Ma sono ricchi assai di più di quanto non lo fossero prima e di quanto non lo fossero mai stati altri in passato. I poveri sono cresciuti a dismisura, tanto da coprire socialmente quasi per intero il tessuto sociale. La società con loro è diventata più povera, perduti ormai quei cittadini, della fascia di mezzo, che tenevano insieme le diverse aree sociali offrendo nel contempo le possibilità di un cambiamento reale per quanti potessero salire in alto nella scala dei valori. In questi Natale diversi si è perduto il Natale laicamente più atteso, quello della felicità promessa. Il Natale era anche promessa di felicità. Qui. Su questa terra. Nel Progresso e nella Civiltà. Che sono la perfetta unione di libertà personale e democrazia, ricchezza individuale e ricchezza sociale. Il tutto secondo un principio che da quel Natale di muove. Ed è che non vi possa essere libertà se non per tutti, ricchezza se non per ciascun essere umano. Come per la Terra. Essa non è se non lo è di tutti. Ché tutti gli uomini hanno il diritto inalienabile di vivere nella propria terra e nel proprio Paese che possa costituirsi come Stato libero e autonomo. Uomini liberi anche di navigare per ogni ogni mare e raggiungere il luogo dove vorranno vivere. E far vivere nella sicurezza i propri figli. Ché il luogo di nascita e quello del raggiungimento non possono essere una sorta di condanna preventiva o lo stigma negativo di una immodificabile diversità. Nascere, come insegna la Natività, non deve essere una colpa, ma un dono che la Vita, o Dio o la Natura, fa con la vita alla vita stessa. Il Natale di oggi non più è solo quello dei consumi, che tanto utile procurano all’economia e al Natale dei ricchi. È il Natale del consumo. Consumo della vita: milioni di persone, vecchi donne e bambini in particolare, stanno a migliaia al giorno, morendo di fame. E altre migliaia muoiono sotto le guerre armate, distribuite in varie regioni del pianete. Sono più di venti quelle in atto da anni, anche se si parla continuamente soltanto delle ultime due, in terra Medio Oriente e in Ucraina. Consumo della terra, per inquinamento e violenza fisica esercitata su di essa. Consumo inspiegabile dell’acqua, ovvero sottrazione di questa fondamentale risorsa a circa un miliardo di persone che ne hanno diritto. Consumo di democrazia in quei Paesi in cui è negata e in altri in cui surrettiziamente viene progressivamente ridotta o modificata. Consumo dei sentimenti in quello che ormai sta diventando un ricordo per smemorati, l’Amore. Consumo, nella Natura e nella Persona, della Bellezza. Da giorni è già Natale. Il Natale di sempre. Quello che non c’è più, neppure nel cuore dei bambini. I bambini di oggi. E quelli di ieri, i bambini che siamo stati noi. Tra cinquantatré ore è la Nascita. Gesù Bambino ritorna. Per una sola volta almeno facciamo che resti bambino. Facciamo che non arrivi la settimana della più sofferta passione. Che Gesù non muoia. E con lui, la speranza. Facciamo che arrivi la Pace. Quella vera. Che ritorni l’Amore, che la Pace crea e mantiene. Tra cinquantatré ore sia la nascita anche nostra. A nuova vita. Nel vero Amore. Ché la povertà e la più grande ingiustizia. La guerra la cosa più indegna. L’odio, l’egoismo, l’invidia e il rancore, le belve più aggressive e più assetate di sangue. Contro questi mostri opponiamo il vero Natale. Quello del Bambino nato in una grotta. Nato per Amore. E dell’Uomo, nato per amare.
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