Franco Cimino: "Io voto NO per la difesa della centralità del Parlamento e della Costituzione più bella del mondo"

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images Franco Cimino: "Io voto NO per la difesa della centralità del Parlamento e della Costituzione più bella del mondo"
Franco Cimino
  16 settembre 2020 17:57

di FRANCO CIMINO

Sul piano metodologico occorrerebbe impiegare, sul quesito referendario di domenica prossima, una sorta di tecnica prudenziale. Votare No, sarebbe quella più indicata. Per due motivi per nulla secondari. Il primo è dato dall’argomento più reclamizzato dai sostenitori del Si: l’approvazione, a voto quasi unanime, della legge che riduce il numero dei parlamentari.

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“È la prima volta nella storia politica, non solo italiana- è stato detto- in cui un Parlamento si autoriduce spazi e posizioni” (mai però indennità e privilegi, vi sarebbe da aggiungere). Una tesi, questa, molto debole e chiaramente insincera, per il fatto che un Parlamento composto quasi per intero da nominati dai padroncini di partiti vuoti, cioè privi di anima e di agibilità democratica, acriticamente si sia costretto a trasformare in legge un tema, o anche una proposta elettorale, sostenuti con ostinazione, direi, da una forza politica in particolare, che dalla sua aveva il vento del rancore popolare contro questa rappresentazione della politica. Il dibattito, infatti, che l’ha preceduto è stato privo di intensità ideale e di quella necessaria vivacità dialettica che accompagnano sempre i grandi cambiamenti istituzionali. Bussava ai portoni di palazzo Madama e di Montecitorio la cosiddetta pancia ( che brutta parola! ) della società.

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Su questa pancia taluni ancora ci ballano sopra in questa ormai interminabile campagna elettorale, che accresce l’aggressività e lo scontro tra fazioni e interessi di basso profilo. L’uso partitico del Referendum e il condizionamento ideologico sulla scelta dei cittadini, altera la volontà popolare e indebolisce il corretto significato dei temi posti alla valutazione democratica più avanzata. Il Referendum è, appunto, uno strumento che la Democrazia rappresentativa utilizza proprio per favorire la più libera e distaccata, paradossalmente neutrale, valutazione piena dei cittadini su questioni di fondo della vita di un Paese. Quelle questioni tanto profonde e delicate per cui lo stesso sistema democratico, di cui il Parlamento è la proiezione più importante, sente il bisogno di un supplemento d’anima. Il secondo motivo è usato accortamente da molti studiosi di istituzioni e meccanismi dei sistemi politici, meno accortamente dai propagandisti partitici del No. È questo: la modifica del numero dei parlamentari ha scarso valore e rischia di essere dannosa senza un quadro complessivo della tanto attesa riforma dello Stato e delle sue impalcature istituzionali. Giusto e sbagliato, vero e falso, nello stesso tempo. Che sia giusto e vero, lo dice la stessa logica in qualsiasi campo applicata quando le somme di parti incomplete di una realtà non possono mai fare il tutto. Vero e falso nel contempo, perché è da almeno vent’anni che la politica del nostro Paese procede, furbescamente e superficialmente, a pizzichi e morsi a stravolgere la sua natura costituzionale. È superfluo elencare qui le decine di leggi di modifica della Costituzione, che sono state varate una volta dal centrodestra un’altra dal centrosinistra senza mai una visione d’insieme e quasi mai con un accordo unitario tra le forze politiche. L’unica volta che è stata presentata una riforma più complessiva, pur lacunosa e disordinata, è stata durante( poi risultata il finale) la stagione renziana. Ma la personalizzazione del Referendum di tre anni fa e l’arroganza con cui la proposta è stata presentata nell’evidente disegno di realizzare un potere oligarchico e uno“ squilibrio” di poteri lontano dalla sensibilità del nostro Paese, ha portato nelle urne l’uragano della coscienza popolare, che ha travolto quella proposta e sconfitto un leader che solo un anno prima aveva ricevuto la più larga fiducia degli italiani.

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Un altro elemento delle contrapposte propagande riguarda la questione del risparmio economico. I Sì affermano una cosa non vera, il risparmio di quattrocento milioni di euro all’anno. I conti effettivi dicono tutt’altro e cioè che nessun risparmio di denaro realmente si avrebbe. I propagandisti del versante opposto, sicuri del suddetto errore, lo sottolineano con un trionfalismo a tratti risibile. Perché la questione vera non è il risparmio, qui trattato come fosse quello della spesa della massaia. È, invece, quella che i padri costituenti ritenevano non doversi mai porre. Per tale ragione hanno creato condizioni, strumenti e cultura straordinari al fine di distinguere sempre l’attività di spesa della gestione da quella della Democrazia. Sulle attività dei governi si deve risparmiare o spendere oculatamente, sulla organizzazione della Democrazia, l’unico costo è quello della Democrazia stessa. E questo è un costo necessario che non consente gli sconti di fine stagione, a meno che non si tratti della fine di quella democratica. L’Italia non può giungere a questo, anche se picconate in questa direzione e su questo muro da molti anni ne sono state inferte. E tante. Ne ricordo alcune: il taglio netto delle assemblee elettive dei consigli regionali e comunali e la cancellazione di fatto di quelli provinciali. Prima ancora, la cancellazione delle circoscrizioni comunali.

È dalla caduta della cosiddetta prima Repubblica con l’avvento di forze che, pur provenendo tutte dai corridoi( talune, meno visibili, dagli scantinati) delle stessa, si sono presentate quali nuove, che si tenta di cambiare nel profondo la Costituzione. Ripeto, con il popolo ignaro ci sono in parte riusciti. Queste forze hanno fatto affidamento sulla stanchezza degli italiani per il carico delle diverse crisi economiche che hanno dovuto sopportare e per il loro disorientamento dinanzi alla grande questione morale che “ Mani Pulite” aveva scoperchiato. Tutti avevano dietro, consapevolmente o non, chiaramente noto o non, un segreto progetto di ingegneria istituzionale, partorito in quelle stanze segrete lazio-toscane (le stesse in cui erano stati concepiti anni prima quei disegni golpist per fortuna falliti), che aveva come scopo la modifica in senso autoritaritario della Repubblica nata dalla Resistenza. La ragione prima di quel disegno consisteva nella demolizione del sistema parlamentare. Le moderne strategie di stampo “sovversivistico”, negli Stati occidentali del terzo millennio in pieno dominio della globalizzazione, questo mostro a dieci teste, non hanno bisogno di imporre, manu militari, un regime classico dittatoriale. C’è già la dittatura più forte, il capitale finanziario con la proprietà dei mezzi di...comunicazione e di acculturazione. Questa basta e avanza. Non hanno bisogno, pertanto, di cancellare il Parlamento. Gli è sufficiente ridurlo nella forma, ridimensionarlo nella funzione, svuotarlo della sua sostanza.

Farlo apparire inutile e ridondante, elefantiaco e pesante, farraginoso e costoso, a fronte di asserite situazioni complesse che richiederebbero snellezza delle procedure, efficienza delle amministrazioni, forza decisionale nella celerità della decisione. Trasferire, quindi, la centralità del Parlamento, con tutto quel ben di Dio che la nostra Grande Carta gli assegna, nella centralità degli esecutivi. Insomma, cambiare i connotati alla Democrazia. E invertire, per questa via, il suo significato più profondo, facendo sì che dalla partecipazione, che motiva la discussione e qualifica la scelta, si passi alla decisione nuda che riduce i tempi e gli spazi per effettuarla. Gli esecutivi( che diventeranno elettivi, specialmente se raffigurati nella persona di un capo) verrebbero prima delle assemblee elettive. E queste ultime, a numero sempre più ridotto e a selezione sempre più blindata, ridimensionate al massimo, affinché siano più facilmente controllabili dai governi e dai pochi capipartito che compilano le liste dei candidati “sicuri eletti”. La posta in gioco in questo referendum non è il giochino del “taglio io che lui non sa tagliare” , ovvero l’accattivante iniziativa di moralizzare la politica iniziando a cacciare trecentottanta “ fannulloni” dal palazzo.

La posta in gioco è la difesa del sistema democratico più moderno e avanzato del mondo, che ha nelle istituzioni rappresentative e partecipate lo strumento più prezioso per garantire quel pluralismo che nel nostro paese non è solo garanzia di libertà, ma molto di più. È ragione profonda del vivere insieme in spirito di eguaglianza e di pari dignità, sia che si tratti delle persone, sia che si tratti dei territori.

Perché per la nostra Costituzione la Persona è il fine dell’agire umano e la terra, una e unitaria, è la sua casa.

Per queste ragioni io voto NO alla legge “ tagliaparlamento”.
 

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