Franco Cimino: "L’Italia delle divisioni, il rischio per la democrazia e quel monito profetico di Moro"

Share on Facebook
Share on Twitter
Share on whatsapp
images Franco Cimino: "L’Italia delle divisioni, il rischio per la democrazia e quel monito profetico di Moro"
Franco Cimino
  19 giugno 2023 20:06

di FRANCO CIMINO


Dov’è andata la grande Italia di un tempo, quella che ha raccolto ammirazione e simpatie in tutto il mondo? L’Italia del genio creativo in qualsiasi attività umana, compresa quella politica, per non dire culturale? Dov’è quel grande Paese, che ha fatto grandi altri paesi del pianeta, mettendo a frutto, ovunque sia andato un suo figlio, quella emigrazione che ha trasferito decine di milioni di italiani in tutte le parti del globo molto tempo prima che venisse globalizzato? L’Italia dei Cristofaro Colombo e dei navigatori, dei contadini e dei pescatori, dei poeti eterni e degli industriali coraggiosi, dov’è andata? Quella dei Dante Alighieri e del caffè, di Leonardo Da Vinci e della pizza, di Garibaldi e dei mondiali di calcio dell’ottantadue, di De Gasperi e del vino buono, di Alberto Sordi e della Madunina, di Aldo Moro, Berlinguer e delle granite, quella dei Michelangelo e della canzone napoletana…? Dov’è andata a finire l’Italia dell’unità risorgimentale e quella dell’unità antifascista e repubblicana? Quella della vittoria sul terrorismo e sulle trame golpiste, quella dei cantautori, delle chitarre e dei mandolini? Dov’è andata? È scomparsa. E non d’un colpo, ma da tempo. È rimasta, ancora distesa in mezzo a tre mari, una sua parvenza. E l’illusione di poter fingere di essere nuovamente grande sol perché il potere della rete, ripiegato su una tecnologia prezzolabile, fa appare buoni i cattivi, colti gli incolti, forti quanti non lo sono, statisti chi non conosce lo Stato. E giganti della Politica gli apprendisti del nulla, che nulla hanno dato alla politica, neppure una normale militanza in un partito che sia. Quella che appare, sopra la sterile copertura di tante accresciute sue povertà, è un’Italia che non sente la sua sofferenza, non parla della sua storia, non vede il suo futuro. Non ascolta la sua Democrazia e la voce della Costituzione che le hanno dato i padri, che hanno conquistato la prima e donatole la seconda. L’Italia che si vede, è quella dei balconi di tre anni fa, quella che cantava l’inno e sventolava dalle finestre il tricolore, che si faceva coccolare dalla paternità dello Stato che le soddisfava tutti i bisogni quasi antropologicamente radicati nell’essere costitutivo degli italiani, la voglia di restare in casa mentre qualcuno pensa a lui. Sbandierava, insieme alle stoffe al vento, una falsa unità, foriera di divisioni profonde, comprese quelle più assurde. Mi riferisco alle divisioni ideologiche in un tempo in cui non vi sono le ideologie. Alle divisioni nelle Città e tra le Città, anche quelle più vicine. Negli stessi piccoli comuni e tra gli stessi piccoli comuni. Divisa, questa nostra Italia, sul Covid e sulle morti nel periodo della pandemia. Divisa sullo stesso concetto di pandemia. E sui vaccini e la loro utilità. Come sulle mascherine e la loro necessità. Divisa sulla guerra. E sul concetto stesso di guerra, dividendo la stessa tra giusta e ingiusta. Divisa sulla Pace, tra pacifisti che rifiutano la guerra anche come atto di difesa e coloro che vogliono la Pace attraverso l’utilizzo della guerra come mezzo per la soluzione dei conflitti. Sembra, il nostro Paese, il bar dello sport di una piccola piazza di un piccolo paese, dove ci si accapiglia su tutto, a partire dalle partite di calcio per arrivare a tutti i temi dello scibile umano. E a tutti quelli della politica in ogni regione del pianeta. Divisa, e in guerra, negli stadi e lungo le strade che lì conducono. Divisa sulla vita, sul suo significato e sul valore e la qualità della sua origine. Sul diritto alla nascita e se avere figli sia un diritto. Divisa sulla morte e sui morti, su come piangerli e dove e quando. E sui funerali di Stato e dei tanti morti anonimi senza Stato, né funerali e seguito di persone che li piangano. I morti senza più patria né terra. Neppure dei cimiteri. Divisa sugli immigrati, la loro accoglienza e destinazione. Divisa anche sul principi antico, pure anticamente codificato, riguardante il dovere del salvataggio delle vite in mare. Divisa sui diritti e sul Diritto. E su chi abbia diritto a sostenere i primi e chi quello di poter criticare le leggi che ne riformano il secondo. È un’Italia che si divide addirittura sulla povertà e sulle leggi di sostegno ai poveri, anche quando, come nella drammatica attualità, la povertà si allarga, aggravandosi, mentre i poveri crescono quotidianamente nella sempre più larga quantità. Divisa sugli stessi miliardi che l’Europa ci presta attraverso quei PNRR divenuti ormai solo una sigla di cui tanti non ne conoscono il significato. Divisa nella Chiesa e nelle associazioni, come nelle Università e nella politica. E, di più, nelle istituzioni, i luoghi naturalmente preposti a favorire la concordia e l’unità tra le persone e le rappresentanze. Potrei continuare senza fine, ma credo che tutto ciò basti a farci comprendere che siamo arrivati davvero sull’orlo del precipizio. Un altro passo e saremo caduti giù. Basti a capire che così non possiamo proprio andare avanti. E che in una situazione in cui chi va al governo ritenendo che con il voto, pur minoritario comunque sia, non si ottiene il dovere di governare ma il diritto di utilizzare “ proprietariamente” le istituzioni, non si farà un solo metro dentro la nuova Europa. A capire che questa anomalia, unita alla assenza di una vera opposizione (per colpa di quelle forze politiche che pensano di sopravvive alla frustrazione, attendendo passivamente di poter fare come chi hanno loro stessi portato al potere), recherà un danno irreparabile alla nostra democrazia, già alterata da una logica personalistica e decisionistica che da tempo ne ha cambiato il volto e la sostanza. La mia natura gioiosa e ottimista, non mi consente, per fortuna, di farmi assalire dal pessimismo, ma la sofferenza e la tristezza inquieta si fanno sempre più forte in me. Il mio pensare, nel mentre si fa sempre più coraggioso, e proprio per questo più inquieto, si aggrappa per fortuna a verità, assolute e parziali, salvifiche. Non richiamo quelle di fede, che non utilizzo mai in fatti di questa natura, anche se riguardano l’uomo e il suo rapporto con altri uomini e la vita, propria e quella degli altri. Richiamo, invece, la mia fede laica per la Democrazia, la mia passione per la Politica e per gli ideali in cui mi sono formato ragione e coscienza politiche. E, con esse, la mia ulteriore visione della realtà e il mio rispetto grato verso le istituzioni. Non mi viene da pensare alcunché di originale. Mi aggrappo a quel pensiero, quasi profetico, che Aldo Moro consegnò al Paese circa cinquant’anni fa. Non cito mai il maestro della Politica e il filosofo della Libertà. Per una sorta di timidezza mista a pudore, oltre che per la mia abitudine a non fare citazioni quando mi esprimo. Oggi ne avverto la necessità. “ Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere.” Credo che sia giunta l’ora di ascoltarlo, almeno in questa esortazione. Ché non c’è più tempo e le parole presto saranno tutte “ consumate”.
+

Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner
Banner