Franco Cimino: "Perché non perdono Pippo Callipo e mi addolora il suo abbandono"

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images Franco Cimino: "Perché non perdono Pippo Callipo e mi addolora il suo abbandono"
Franco Cimino
  29 luglio 2020 18:31

di FRANCO CIMINO

"Come un fastidio. Come un problema brutto. Come un problema brutto e fastidioso. Come una pratica burocratica priva di problema e carica di un brutto fastidio burocratico, la vicenda Callipo è stata dapprima trattata così e poi liquidata allo stesso modo. Anche questa volta la linea è stata dettata dalla Presidente. In tempi puntuali e lontani, addirittura, rispetto alla decisione di dimettersi del suo principale antagonista, che le ha vieppiù aperto le porte della cittadella regionale, in quel palazzo maestoso ancora privo del nome. Infatti, è stata Lei a dichiarare, in primissima ora, che si aspettava che il leader del centrosinistra sarebbe andato subito via dal Consiglio regionale.

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La sua previsione è stata così forte e netta da prevalere successivamente anche sulla mia, che si attendeva, dopo il respingimento quasi unanime delle dimissioni da parte dell’Assemblea di appartenenza, il ritiro da parte del protagonista del suo, per me grave, intendimento. Perché Pippo Callipo, il sedicente rivoluzionario ha lasciato il seggio in Consiglio Regionale? I veri motivi sono reclamati dalla domanda. E perché degli stessi non chiede nessuno e del suo abbandono sembra non importare nulla ad alcuno? I veri motivi sono attesi dalla domanda. Perché gli stessi organi d’informazione e i principali commentatori hanno sbrigativamente chiuso il dibattito in una terra in cui lo stesso è sostituito dal chiacchiericcio e, soprattutto, in politica, dal pettegolezzo? Proprio nulla da pensare? Nulla da dire? Io penso che i motivi che hanno indotto un “dichiarato sognatore” della liberazione della Calabria ad abbandonare subito il ruolo dal quale, più che dalla postazione di governo, avrebbe potuto fare molto per realizzare anche un grammo del proprio sogno, siano altri da quelli dichiarati. Non può esserci a motivarli neppure la legittima delusione per il risultato elettorale, perché con i regali di questo centrosinistra l’affermazione di questo centrodestra, in un contesto elettorale umiliato dalla sicura bassissima affluenza alle urne, l’esito era, non solo dai sondaggi, largamente previsto.

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Per questo motivo, proprio quello che lo avrebbe collocato all’opposizione in una terra dalla quale l’opposizione, culturale, sociale e politica, manca da circa un trentennio, il suo ritiro è brutto. Totalmente ingiustificato. Ha il sapore della viltà o del tradimento( chiedo scusa alla persona Pippo e al suo ruolo sociale). È un tradimento gravido di conseguenze democratiche. Forse, pedagogiche. Di certo, etiche. Il primo tradimento è nei confronti, paradossalmente, di quel cinquantasei per cento di calabresi che non è andato a votare. Sono quei calabresi che la propaganda del potere vuole in massima parte impegnati con il lavoro fuori regioni e non in una forma di protesta politica verso un sistema che lascia tutti indistintamente uguali tra loro.

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Tesi neppure opinabile tanto é ridicola, considerato il fatto che quei fuori regione( non certamente in quel numero dell’astensione) altro non sono che la forma edulcorata della nuova emigrazione all’interno del problema antico: la disoccupazione estesa per la povertà estrema della Calabria. Povertà di strutture, di culture affermate, di sistemi economici moderni, di tecnologia avanzata, di sistemi scolastici e formativi innovativi e integrati a sistema e nel sistema nuovo. Povertà di classe dirigente, generalmente intesa. Povertà estrema, infine, della politica e della sua classe dirigente, che questa situazione, progressivamente negli anni, ha contribuito a determinare. I calabresi dell’astensione sono quelli della sfiducia disperata verso la Politica e tutti coloro che la praticano.

Ai senza urne, “ i politicanti” appaiono tutti uguali in quella geometrica puntuale falsificata alternanza tra centrodestra e centrosinistra. Da più legislature, infatti, gli elettori votano non per il migliore, ma contro il peggiore, identificato solitamente nella giunta uscente e in quel presidente. La sfiducia disperata è la forma più drammatica del dissenso. È priva non solo della speranza, ma di un qualsiasi spirito di opposizione. Non crede in niente. Il nichilismo è la propria filosofia, che, ben esposta nelle discussioni improvvisate, molto affascina coloro che stanno ancora sospesi tra rabbia e senso dell’abbandono. Bene, Callipo, più che gli altri due candidati visti troppo deboli alla sua sinistra, ha rappresentato per gran parte di quel milione di astenuti, una speranza. Affacciati alla finestra del disimpegno, sono rimasti a vedere se davvero un po’ di nuovo fosse avanzato. La delusione Callipo è vista da loro come un ennesimo tradimento, quello probabilmente che li condurrà al definitivo addio alle urne e alla battaglia per convincere amici e compagni, figli e parenti a fare altrettanto. Le dimissioni sono un tradimento anche per una buona parte dei circa duecentocinquantamila suoi elettori. Non dico tutti, assolutamente no. La maggior parte, specialmente quella radicata nell’ideologismo, nel pragmatismo,nell’opportunismo e nel trasformismo da respingimento altrui, ovvero quelli del clientelismo e del voto imprigionato al candidato amico-padrone, avrebbe votato comunque da quella parte.

E, però, molte migliaia hanno scelto quello schieramento perché c’era lui, con le sue promesse di cambiamento, anche di quel PD nel frattempo rimasto isolato, senza guida e con i militanti frustrati e addolorati. La sfiducia nella politica, da Callipo in poi, rischia di diventare, se già non lo sia diventata, totale rassegnazione dei calabresi allo status quo, all’idea, cioè, di derivazione alvariana, che “ vivere rettamente sia inutile.” E, più grave ancora, trasferisce ai giovani il dubbio che fare politica onestamente non convenga e che, pertanto, sia più utile intrupparsi in quel carrierismo sfrenato, vuoto di ideali e di cultura, di cui da anni stiamo vedendo i migliori esemplare nelle istituzioni e nei corridoi del potere. No, Pippo Callipo non ha scusanti fino a quando i motivi del suo abbandono restano quelli comunicati, anche se per me non c’è mai un motivo valido per rinunciare a un mandato elettorale, nel quale risiedono le più alte responsabilità civili e morali. Come per un generale che abbandoni il campo di battaglia o il comandante la sua nave. A queste mie ripetute considerazioni aggiungo un dolore anche personale. Quello di un prof che ai suoi ragazzi si sforza di insegnare il valore della Politica, la forza rivoluzionaria della nostra Costituzione, la bellezza quasi esclusiva della Democrazia italiana, la preziosità degli ideali nella libertà assoluta di poterli scegliere e sostenere, anche con la più libera partecipazione alla vita politica e a quella di un determinato partito che rappresentasse i propri.

Quel ragazzo, studente del Liceo delle Scienze Umane in Marina di Catanzaro, che il candidato Callipo ha presentato in occasione del suo ingresso in campagna elettorale e la cui fotografia in sua compagnia ha lasciato occupasse giornali e social, è un mio alunno. Anche da me egli è stato sollecitato a partecipare alla visita che la nostra scuola ha fatto alle industrie nel vibonese durante la quale, con fine sensibilità, egli ha posto quella domanda che avrebbe scosso e fortemente motivato il leader di “ Io resto in Calabria.” Quel mio studente non ha mai avuto un sentire di sinistra, anzi, il contrario. E sebbene non avesse ancora l’età, di certo non avrebbe votato da quelle parti, oggi. Eppure, anche quel giovane gli ha creduto e nell’ansia di una politica nuova ha confidato. Quel mio studente, bello come il sole di primavera, si chiama Riccardo Montanaro. Non l’ho ancora visto, né sentito. Ma lo conosco bene e so che del gran rifiuto ne sta soffrendo".


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