Franco Cimino ricorda Proietti: "Vi racconto di Gigi con le sue parole e non piango"

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Franco Cimino
  02 novembre 2020 13:15

di FRANCO CIMINO

E la notte, quest’ultima, cambiò. Di colore e di umore. Allontanò il nemico virale, che molti usano per le contrapposte loro guerre, e si fece più nera. Nera non di lutto e di buio. Nera di velluto e di seta, per farsi manto di bellezza, vestito della festa. Alle cinque e trenta del mattino, quando l’alba ancora non viene ad annunciare il nuovo giorno e la luce non scende sulle strade, le case e sul cammino degli uomini, un fascio luminoso irradia Roma e, di rimbalzo, l’Italia intera. Gigi Proietti, l’artista geniale, il mattatore, il romano de Roma, saluta tutti e se ne va. Chi stava fuori casa durante quelle sette ore ha visto questo spettacolo del cielo. Ha visto quel fascio di luce aprirsi mostrando il sorriso sornione, ironico, intelligente, buono, educante, del grande Gigi.

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Era un sorriso di ringraziamento a” Iddio, ché noi attori abbiamo il privilegio di poter continuare i giochi d’infanzia fino alla morte. "Era un sorriso al suo pubblico, per ringraziarlo di esserci stato, sempre fedele e innamorato. Di lui, ma, soprattutto, del “Teatro, dove tutto è finto e niente è falso... Ché nella totale perdita dei valori, il Teatro è un buon pezzo dove attingere”. Un sorriso di incoraggiante rimprovero a quanti non ridono mai, a quelli che prendono le cose della vita troppo sul serio e di ogni cosa ne fanno una tragedia. E anche a quelli, e son sempre più numerosi, che per l’invidia “ sanguigna” stanno sempre a “ rosica’” per le gioie degli altri, fossero anche le più semplici del normale vivere. A tutti questi, quel sorriso ripete: "potrei esserti amico un momento, ma se non sai ride mi allontano, chi non sa ride mi insospettisce”.

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Un sorriso, quello di stamattina, di ammonimento a tutti noi, che in piena “ guerra” contro un nemico, oggi invincibile, dal potere della politica in giù, litighiamo per farci male. A noi è diretta la frase pronunciata tempo fa, un tempo certamente lontano da questo imprevedibile. Sembra detta ieri sera. Sì, proprio ieri, prima di entrare, addormentato, in quella sua ultima battaglia che, di certo, con l’aiuto di Dio, non ha voluto continuare:” dalla crisi non si esce con l’odio, la rabbia, quelle sono solo le conseguenze. La soluzione, invece, è l’amore, è il far tornare di moda le persone perbene.” Un sorriso di attenzione, intenso, è rivolto ai giovani. Ad essi sembra abbia voluto parlare, e da sempre, per via indiretta e interposta persona. Lo fa attraverso quella duplice attribuzione di responsabilità, che tanti non cercano neppure: la loro, dei ragazzi, e quella che sta in capo agli adulti, genitori e maestri, famiglia e scuola. Quel sorriso rammenta queste parole:” è molto importante seguire i ragazzi per sapere cosa pensano e, soprattutto, se veramente pensano a qualcosa.” In questa frase c’è tutto, la colpa nostra e l’accettato disimpegno dei giovani, non più separati.

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Ci sono i maestri che non insegnano e i discenti che accettano passivamente di non imparare. C’è l’abbandono delle due cattedre e la “ gradita” copertura del loro vuoto con quelle luminose scatole portatili, che i nostri figli agitano continuamente con le dita e gli occhi, gli unici strumenti conoscitivi che rischiano di possedere. Un sorriso, sferzante più che ironico, alla propria giovinezza, cui questo mondo di paillettes e lustrini, di forza fisica e vittorie obbligate, vorrebbe a tutti i costi obbligarci, ché se sei vecchio ti scartano e di questi tempi pure ti lasciano morire, perché non sei utile e non produci, se mai consumi. Anche quella pensione, che sulla coscienza del vecchio, gli ingordi stupidi fanno pesare come un furto, una colpa verso i giovani. “Mi sono liberato( cioè è diventato un uomo finalmente libero)quando ho smesso di tingermi i capelli.”

Un capolavoro di umanità, il coraggio della umiltà nella forza della verità, ché chi mente a partire da se stesso può mentire anche con gli altri. Di più, in questa frase, c’è la celebrazione della vecchiaia, degli anni che passano sulle spalle di quelli che hanno la fortuna di diventare vecchi. Fortuna individuale, per il fatto di esserci ancora e poter vedere le meraviglie del mondo che cambia. E la tanta gioventù, che prima, quando é molto giovane, ti sta accanto e poi ti passa velocemente davanti, quando sue loro gambe volano. Infine, la vedi progressivamente invecchiare mentre sinceramente speri che la loro sia una vecchiaia più lunga della tua. Fortuna, anche per la società, quando i vecchi diventano memoria della stessa, saggezza da dispensare, intelligenza profonda e quieta da offrire alle nuove edificazioni nel mondo, sostegno fisico, morale ed economico alla società, a partire dalla sua cellula fondamentale, che ancora resta la famiglia. Quel fascio di luce di stamattina che ancora era buio, è il sorriso per Roma, la sua Roma, a cui ha dedicato i pensieri più belli, i sentimenti più profondi, le speranze più vive, le sue e quelle dei romani tutti. Dei romani di Roma e di quelli dell’intero pianeta.

Al pari di Fabrizi, Patrolini e Sordi, pochissimi, come lui, non solo hanno amato la Città eterna, ma hanno fatto amare Roma. Da tutti gli italiani e da tutti fuori dall’Italia. L’ha fatta amare di un amore vero. Come il suo. Anche per suo merito, Roma, con tutti i suoi difetti e il vizio antico della romanità romanesca, è davvero la capitale del mondo, la Città di ogni cittadino di questo tormentato, divertente, drammatico e comico, disperato e speranzoso, realista e sognatore, burlone e imbroglione, pianeta. Adesso, finiti quasi tutti i suoi sorridenti saluti, mandiamogliene uno noi, grande quanto il cuore di un artista unico, irripetibile. Magico. Lanciamo in quello stesso cielo di questo “ festoso e triste” mattino il nostro sorriso. Per dirgli grazie per averci fatto ridere come matti, anche quando non ne avevamo la possibilità. Grazie per averci alleggerito la vita in quei momenti interminabili in cui ci è sembrata assai pesante, quasi fastidiosa.

Pe averci fatto sopportare il nostro privato dolore quando all’improvviso, alle spalle, ci prendeva. E per averci ricordato, con il suo racconto ironico, a volte sfottente, il dolore degli altri. E, per favore, non stamu a fa’ na lagna pe’ esse morto er due novembre, er giorno del mio compleanno bono (è il mio esser romano oggi per lui), immagino che così ci stia dicendo. E ne ha ben donde. Nascere e morire nel giorno dei morti, è un privilegio che solo agli uomini grandi è concesso. E lui era pure immenso.

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