di GALILEO VIOLÌNI
Solo tre giorni fa ricorreva l’anniversario dell’approvazione della Legge 211/00. Legge eccellente, anche se tardiva, per un paese che, per differenti motivi, aveva ampiamente rimosso l’adesione di massa al fascismo. Anche in questo caso, sia stato per compromessi parlamentari o no, l’unicità della Shoah veniva, mi si perdoni la parola, annacquata, introducendo nella legge il ricordo dei deportati italiani e dei Giusti italiani.
Due altre leggi italiane hanno per oggetto il ricordare, quelladel ricordo di quattro anni dopo, anch’essa formulata con qualche annacquamento e ambiguità, quando fa cenno alle “complesse vicende del confine orientale”, e quella, altri tre anni dopo, di ricordo delle vittime del terrorismo.
Un correttivo alla formulazione della Legge 211/00 è venuto dalla coscienza civile di coloro che hanno promosso le attività che essa imponeva. Ricordo il bel tempo che fu, quando l’Università della Calabria organizzava manifestazioni che coinvolsero studentesche della regione. Ma nessuna conquista è eterna, se non è condivisa dalla coscienza generale. Il riferimento a due recenti sentenze della Corte Suprema degli Stati Uniti è forse sproporzionato, ma negli ultimi anni quel patrimonio culturale è andato, speriamo non per sempre, perduto.
Di fatto, in quelle manifestazioni, ma lo stesso è accaduto in innumeri scuole, il 27 gennaio, si ricordano tutte le vittime del Nazionalsocialismo, i 3 milioni di prigionieri sovietici, gli zingari, gli omosessuali, i testimonidi Geova, gli infermi mentali. In questo modo quell’annacquamento della Shoah di cui parlavo è divenuto sorgente di arricchimento dei valori che quella legge onorava.
Sarebbe però infantile illudersi che siano valori condivisi. L’antisemitismo, le misure antirom, i pregiudizi antiimmigrati, velati dall’aggiunta illegali, anche se poi gli illegali sono sfruttati nell’agricoltura, sono una realtà. Eccetto (e non sempre) quando prestazioni sportive di livello mondiale sono fornite, troppi storcono la bocca se costretti a non negare che i cittadini italiani sono definiti in base all’art. 3 della Costituzione. E noto che neanche essere ministri protegge da quei pregiudizi.
Una pessima legge sulla cittadinanza ha contribuito a renderne più difficile l’acquisizione, il problema dei giovani nati o venuti in tenera età nel nostro paese e totalmente integrati continua da anni ad essere irrisolto. Sarebbe stato bello, coraggioso, anche se sogno da fantapolitica, che un decreto legge al riguardo fosse stato emanato prima delle dimisisoni del governo e convertito dalle Camere della XVIII Legislatura.
Nei giorni scorsi ha richiamato l’attenzione il caso di Bakayoko. L’accaduto, criticato molto civilmente dal giocatore, è stato minimizzato dalla Questura di Milano che ha confermato la correttezza del protocollo seguito, ma si vada alla Stazione di Milano o quella di Roma e si osservi a chi vengono chiesti e con quali modalità i documenti. Il protocollo è corretto, certo, ma la statistica racconta un’altra storia.
Un altro piccolo episodio di cronaca. Un ragazzo di poco più di 20 anni si uccide guidando a 300 all’ora sul Grande Raccordo Anulare di Roma. È possibile, pare, che fosse impegnato in una corsa clandestina. Notizia semplice, Fa differenza per chi la legge sapere se egli fosse italiano o straniero, se andasse a messa, a una moschea o una sinagoga? Sarà stato laziale? Romanista?
Istruttivo cercare su Internet come la notizia sia stato riportata dai vari giornali. Solo un sito, neXtquotidiano, si è astenuto dal commentare che il ragazzo era “di etnia rom”. L’art. 3 della Costituzione? Parole!`
È diminuita l’informazione se chi è responsabile di fatti anche efferati sia calabrese, siciliano, napoletano. Il bersaglio del razzismo nostrano non siamo più (o lo siamo meno) i meridionali. Lo sono i musulmani, i rom, i sinti, gli ebrei.
Fenomeno con radici politiche che sarebbe ingenuo dimenticare, ma che è anche consegunza di carenze educative che dovrebbero far riflettere.
Ricordo quando morì Moravia. Un giornale dedicò due pagine intere al suo ricordo. Nessun accenno a che il cognome Pincherle è ebreo.
Certo, chi firmava erano giornalisti di vaglia. Un ragazzo che muore sul GRA è roba per un redattore, ma questi avrà pur studiato giornalismo. Gli avranno pur parlato di etica. Come può essere ignaro che non è questione di politicamente corretto, ma di razzismo considerare notizia il fatto che un cittadino italiano sia “di etnia rom”?
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