"La corruzione del magistrato solo in un'occasione si è espressa nell'adozione di uno specifico atto giudiziario"
02 febbraio 2021 12:17di EDOARDO CORASANITI
Soldi, vino, champagne, prestiti, favori e corruzione. E se non bastasse: regali, gamberoni, casse di vino, assegni in bianco e ancora denaro: "Le condotte oggetto di contestazione sono - con due sole eccezioni - dimostrate anche perché sono state oggetto delle convergenti confessioni provenienti sia dal magistrato corrotto (Marco Petrini, ndr) che dai privati corruttori, ossia Santoro Emilio, detto Mario, e Saraco Francesco".
La firma è di Vincenzo Pellegrino, giudice del rito abbreviato che a Salerno ha condannato il magistrato Marco Petrini (difeso dagli avvocati Francesco Calderaro e Agostino De Caro) a 4 anni e 4 mesi di reclusione, il medico Emilio Santoro (difeso dall'avvocato Michele Gigliotti) a 3 anni e 2 mesi; per l'avvocato Francesco Saraco (difeso dall'avvocato Nico D'Ascola) 1 anno e 8 mesi (pena sospesa).
Il processo è "Genesi", frutto dell'operazione scoppiata il 15 gennaio 2020 con una esplosione che colpisce 15 indagati accusati, a vario titolo, di far parte di un sistema corruttivo all'interno delle aule di giustizia di Catanzaro. Tra le carte, ci sono presunte tangenti e favori (anche sessuali) per ottenere provvedimenti giudiziari favorevoli. La Procura aveva chiesto: 6 anni, 5 mesi e 10 per Petrini, per Santoro 5 anni e 9 mesi di reclusione, mentre per Saraco 2 anni e 9 mesi e 10 giorni.
Il 23 novembre scorso la sentenza di primo grado, mentre in queste ore sono state depositate le motivazioni e l'iter logico che ha portato alla condanna di tre imputati.
Nelle 156 pagine vengono raccontati i fatti: soldi, vino, champagne, prestiti, favori e corruzione. Il meccanismo (non un interno sistema, essendo riferito ad un unico magistrato) che ha ombreggiato su un giudice della Corte d'assise d'appello di Catanzaro è nero su bianco.
"Se non altro per l'esatta comprensione della gravità della consuetudine alla corruzione di Petrìni Marco, va rilevato che, sulla base degli atti depositati relativi a procedimenti e processi connessi e alle dichiarazioni dello stesso Imputato, le condotte oggetto di imputazione nel presente giudizio non sembrano avere esaurito l'azione criminale del suddetto magistrato. Va pure rimarcato in questa breve premessa che la peculiarità e la gravità che contrassegnano il delitto di corruzione in atti giudiziari rispetto agli altri delitti di corruzione discendono non soltanto dalle esigenze di imparzialità, correttezza e trasparenza di una funzione dello Stato, quella giudiziaria, ma si connettono direttamente alle istanze di terzietà che permeano e sostanziano in maniera del tutto originale il potere sotteso a tale funzione", scrive il gup.
"Il potere giudiziario, quale articolazione fondamentale dello Stato di diritto sociale moderno, fa della terzietà e della corretta omogeneità applicativa il suo stesso fondamento costitutivo, la sua stessa essenza, senza che altrettanto possa dirsi degli altri poteri, che risultano in qualche modo portatori di istanze di parte. Il fenomeno corruttivo, pertanto, quando vede coinvolti soggetti i cui poteri e doveri interpretativo/creativi e applicativo/di soluzione del conflitto siano viziati perché perseguono l'interesse di una parte, finisce con lo svuotare nelle sue radici più profonde non solo e non tanto la funzione ricoperta dal singolo attore, ma soprattutto il potere che questi lì rappresenta, con la dirompente conseguenza di una vera e propria delegittimazione dell'istituzione - Stato. Alla luce di questa sintetica considerazione introduttiva va inquadrata la portata dei fatti corruttivi oggetto del presente giudizio, che deve prescindere, o che non deve essere oltremodo condizionata, dalla constatazione che la corruzione del magistrato solo in un'occasione si è espressa nell'adozione di uno specifico atto giudiziario, il cui contenuto era stato concordato con i privati corruttori, mentre in tutti gli altri casi l'accordo sul mercimonio della funzione non si è tradotto in atti giudiziari concreti".
Marco Petrini è stato condannato per quattro capi di imputazione: soldi e regali in favore di una decisione per favorire l'ex consigliere regionale Giuseppe Tursi Prato per ottenere il ripristino dell'assegno vitalizio regionale; la confisca e alleggerimento della sentenza di condanna di Antonio Saraco, condannato in primo grado nell'ambito di Itaca Free Boat e per cui tramite Santoro si cercava di avvicinare Petrini; somma di 500 euro ricevuta nel luglio 2019 per favorire Vincenzo Arcuri in vicende penali e civili; e i più in generale, il capo 9), per cui Emilio Santoro remunerando abitualmente Petrini con la somma di 1500,00 euro mensili, ne "otteneva la condiscendenza alle proposte corruttive che suo tramite pervenivano da soggetti terzi, fungendo da collettore di esse e da mediatore tra i privati interessati e il magistrato che aveva corrotto".
Assolto invece per il capo 8) dell'imputazione (aggravato dall’aver agito al fine di agevolare la cosca di ‘ndrangheta di Guardavalle) e che si riferisce al fatto che Pertini, quale Presidente della sezione civile della Corte di Appello dì Catanzaro, nonché della Corte di Assise di Appello di Catanzaro, in relazione al processo Itaca Free Boat (nell'ambito del quale la Corte di Appello di Catanzaro in data 17.7.2019 aveva confermato le condanne irrogate in primo grado dal Tribunale di Catanzaro nei confronti di Saraco Antonio (padre di Francesco)e Gallelli Adriano), nell'interloquire con Santoro, in data antecedente il 29.7.2019, gli forniva la rassicurazione: "Mario è un processo che farò io questo ... dalla Cassazione torna indietro", e prospettava espressamente la eventualità di favorire i summenzionati imputati nel successivo processo di rinvio, per il quale tabellarmente sarebbe stata assegnataria la sezione da fui presieduta, facendosi promettere da Santoro e da Saraco l'acquisto di una autovettura tipo Smart da destinare al figlio Alessandro, che sarebbe stata pagata per metà dallo stesso Santoro e per l'altra metà da Saraco Francesco. Per il giudice, il fatto non sussite.
Testata giornalistica registrata presso il tribunale di Catanzaro n. 4 del Registro Stampa del 05/07/2019.
Direttore responsabile: Enzo Cosentino. Direttore editoriale: Stefania Papaleo.
Redazione centrale: Via Cardatori, 9 88100 Catanzaro (CZ).
LaNuovaCalabria | P.Iva 03698240797
Service Provider Aruba S.p.a.
Contattaci: redazione@lanuovacalabria.it
Tel. 0961 873736