Depositate le motivazioni della sentenza della Corte d'Assise che ha condannato Salvatore Lo Bianco all'ergastolo e Rosario Lo Bianco a 28 anni di reclusione
09 ottobre 2024 11:24d STEFANIA PAPALEO
Su chi abbia sparato e chi abbia supportato il killer, i giudici non nutrono dubbi. E' invece il movente ad essere messo in discussione nelle motivazioni della sentenza con cui la Corte d'Assise di Catanzaro, presieduta da Massimo Forciniti (a latere: Giovanni Strangis), lo scorso 11 luglio ha inflitto una condanna alla pena dell’ergastolo nei confronti di Salvatore Lo Bianco, 52 anni, e a 28 anni di reclusione al cugino Rosario Lo Bianco, di 54 anni, per l'omicidio dell'imprendfitore e geologo Flippo Piccione, freddato il 21 febbraio 1993 nel centro di Vibo Valentia.
Un delitto deciso dai vertici del clan Lo Bianco in quanto ritenevano la vittima coinvolta nel delitto di Leoluca Lo Bianco, avvenuto l’1 febbraio 1992 in contrada Nasari, a Vibo. Contro di lui diversi colpi di fucile partiti dalla proprietà di Piccione, che, tuttavia, stando alle indagini successive, neanche si sarebbe trovato quella sera nel fondo, tanto che pare che il clan avesse originariamente ipotizzato di eliminare il guardiano, un soggetto di Pannaconi, proposito che venne accantonato dopo il confronto avuto, a dire di un collaboratore di giustizia, tra il guardiano e Domenico Lo Bianco, che viveva da quelle parti, circostanza in cui la presunta vittima avrebbe giustificato il suo operato. Da lì la decisione di cambiare obiettivo e, a prescindere dal fatto che fosse materialmente responsabile, di agire nei confronti del Piccione, con il quale il clan aveva antichi dissapori per varie denunce sporte dal geologo a causa di danneggiamenti ricevuti proprio nella sua proprietà.
Ad armare la mano del killer, dunque, sarebbe stato piuttosto una sorta di astio, dimostrato anche in occasione del brindisi fatto durante i funerali del geologo. Insomma, per i giudici l'incolpevole Piccione avrebbe pagato con la via la sua sete di giustizia, così come da sempre sostenuto dagli avvocati Francesco Gambardella e Danilo, costituitisi parte civile nell’interesse dei familiari della vittima e a supporto della Dda di Catanzaro, rappresentata dal pm Veronica Calcagno, che aveva chiesto per entrambi gli imputati la condanna all’ergastolo.
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