Gianni Bui, bomber degli anni Sessanta: "Catanzaro mi è rimasta dentro, per me è stata la rinascita. Ora dipingo molto"

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Gianni Bui, attaccante del Catanzaro dal '65 al '67
  09 maggio 2020 22:23

di ANTONIO ARGENTIERI PIUMA

"Non credo che sarà così semplice riprendere a giocare, ci vorrà del tempo ancora. Speriamo bene".
È il commento di Gianni Bui, 80 anni lo scorso 5 maggio, ex attaccante del Catanzaro, dal ’65 al '67 (67 presenze e 33 gol), dove vinse la classifica dei cannonieri e diede forte impulso alla sua carriera. 

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Poi dice: "Di fronte ad eventi di tale portata tutto passa in secondo ordine. Bisogna pensare ad aiutare chi non ha stipendio ma i calciatori possono fare a meno di giocare quando si tratta della vita delle persone. Se poi sono sicuri che si può ripartire ok, ma ho i miei dubbi. Anche io faccio sacrifici. Sono 20 giorni che sono in casa. Ho figli e nipoti a Verona, ma ci vuole tempo".

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Che ricordo ha di Catanzaro? 

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"È come parlare di Verona, Torino, la Lazio. Catanzaro mi è rimasta dentro. Ho vinto la classifica cannonieri. È stata la mia ripresa. La stagione '64/'65 Bernardini mi portò al Bologna dopo aver vinto l'anno prima dell'inter il campionato. C’era Nielsen in avanti ed era anche bravo e quindi praticamente non ho mai giocato. Non ho capito come il Catanzaro mi abbia notato. Fatto sta che mi ha ridato il tempo di riprendermi, farmi conoscere e lavorare. Per me è stata una rinascita della vita e mi volevano molto bene. Poi, Liedholm mi prese al Verona e andammo subito in Serie A, e poi al Torino. Ho avuto 13 operazioni al ginocchio. Nel '74 sono andato al Milan e quando Rivera mi vide arrivare mi disse: “Troppo tempo siamo stati distanti io e te”. Non lo posso dimenticare. Allora andare al Milan era come fare l’Università. Non sono stato molto fortunato. ma mi hanno sempre rispettato e voluto bene. Al primo minuto a La Spezia feci gol di testa grazie ad un cross di Rivera. Poi a 35 anni mi ritirai. Catanzaro ce l’ho sempre nel cuore. Sono anni che non riesco ad andare giù ad agosto. Chissà quest’anno, sempre che si possa viaggiare".

Con chi è rimasto in contatto di quella squadra?

"Con diversi giocatori: il terzino Marini, il mio compagno di reparto Vitali,  che non c’è più. Ricordo con simpatia quando mi diceva che voleva giocare laterale, poi centrale e poi nuovamente laterale. L’allenatore era Ballacci di Bologna, un ex calciatore molto bravo e professionale. Purtroppo, in finale di Coppa Italia, dopo la vittoria di Napoli per 1-0 con un gol mio, a Torino contro la Juve, e la Lazio in trasferta, perdemmo in finale a Roma contro la Fiorentina. Per il Catanzaro sarebbe stata una grande cosa. Era una bella squadra. C’era Macaccaro e altri grandi calciatori. Mi hanno sempre voluto bene. Anche quando giocavo col Torino e feci gol di testa in Serie A, mi fermai a Copanello dai miei genitori la gente quasi mi applaudì. Per me è stato come il Verona ma forse anche di più. Il calcio ora è cambiato. Una volta le società facevano l’accordo tra loro e se non accettavi andavi a casa. Io guadagnavo due volte quello che prendeva un operaio. Ora è tutto diverso. Andrà a finire che il presidente che metterà il pacco di soldi più alto vincerà tutto".

Il Catanzaro non riesce a venir fuori dalla Serie C

"Purtroppo non seguo molto e non posso dare giudizi. Certo, ce l’ho nel cuore ma non seguo più tanto il calcio. Sono nato a Serramazzoni, a 10 chilometri dal paesino di Luca Toni che mi chiese l’autografo in occasione di una iniziativa organizzata nel mio Paese. Ora abito a 15 km da Alessandria. Mia moglie è di Valenza e aveva già casa, se no mi sarei trasferito a Verona o a Catanzaro. Nel calcio ci vuole fortuna. Ancora oggi mi chiamano in tanti. Ora dipingo molto in casa con acrilico e faccio astratto. È sempre stata la mia passione, anche con Liedholm quando mi ritiravo pitturavo per non giocare a carte. Mi hanno chiesto di fare una mostra a Torino, all’Isola D’Elba, a Limone. Non sono un pittore e non uso l’olio ma solo l’acrilico perché non puzza e non da noia a mia moglie". 

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