Gilberto Modonesi: "Il misticismo del vino: le infe di Osiri, il sangue di Cristo"

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images Gilberto Modonesi: "Il misticismo del vino: le infe di Osiri, il sangue di Cristo"

  11 agosto 2023 11:18

di GILBERTO MODONESI

"Gli egizi hanno elaborato la credenza nella rigenerazione dei defunti sulla base di 
riferimenti magici ai grandi cicli naturali e ad altri elementi simbolici ritenuti significativi allo scopo. Le acque dell’inondazione del Nilo e il vino sono stati assimilati al sangue del dio Osiri in virtù del loro colore rosso. La vendemmia, la pigiatura e la trasformazione del mosto in vino riproducono nel loro insieme le fasi della passione, morte e resurrezione di Osiri.

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Con riguardo al vino una simile concezione si afferma più tardi anche nelle immagini e nei riti della religione cristiana: il vino è il sangue di Cristo versato per la salvezza dell’umanità. Queste note hanno lo scopo di evidenziare il significato che l’Egitto antico assegnava alla vigna, all’uva e al vino in ambito religioso. Quindi eviteremo qui di intrattenerci sulle origini della vigna, sulla sua coltivazione, sui metodi di produzione e le tipologie del vino egizio.

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Le prime testimonianze archeologiche sulla presenza della vigna e del vino in Egitto 
risalgono al periodo pre-dinastico: nel museo dell’Orto Botanico di Berlino sono 
conservati i semi e un ramo di vitis vinifera risalenti al periodo di Nagada (3100 a.C. 
circa); nella Abido attribuita al re Scorpione (dinastia 0, 3200-3150 a.C.) sono state 
trovate circa 700 giare che avevano contenuto del vino resinato. Riferimenti religiosi riguardanti i vigneti sono già evidenti nel periodo protostorico. I sigilli dei tappi di giare ritrovati nella necropoli di Abido riportano iscrizioni che ci fanno sapere che tutti i re della I e II dinastia possedevano a loro nome delle vigne sacre protette da recinzioni.

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Ciascuno di questi vigneti aveva un nome che ne indicava la sacralità: ad esempio il re Den (I dinastia) chiamava la sua vigna “Il recinto del corpo di Horus”, la vigna del re Khasekhemui (II dinastia) era chiamata “Lodate siano le anime di Horus” e quella del re Djoser (III dinastia) “Lodato sia Horus che presiede al cielo”. I Testi delle Piramidi confermano l’importanza religiosa della vigna e del vino. Il vino è la bevanda di elezione del re defunto dopo che ha raggiunto la sua destinazione celeste. I defunti glorificati sono dei privilegiati che ricevono e consumano prodotti che assicurano loro l’eterna felicità: i Testi delle Piramidi affermano che i re defunti si nutrono con “fichi e vino che sono nella vigna del dio”. 

Per questo motivo il vino è presente nelle liste di offerta rappresentate sulle pareti 
delle tombe e sulle stele funerarie dei defunti. Nelle stele dell’Antico Regno il vino
compare graficamente sullo stesso piano dell’acqua purificatrice, dell’incenso e degli 
oli essenziali. E’ una prova supplementare che il titolare della stele gode dei benefici 
concessi ai defunti beati.

I Testi delle Piramidi ci hanno tramandato anche formule che attestano l’origine 
divina della bevanda ottenuta dall’uva e la collegano a varie divinità. “…la mia acqua è vino come quello di Ra,…”  “Il cielo è gravido di vino, Nut ha generato sua figlia l’alba-luce”. Questa ultima citazione evoca una associazione tra il vino e il sangue del parto unicamente in base al simbolismo del colore.  “Osiri N, prendi per te l’occhio di Horus strappato a Seth e mettilo alla tua bocca;  (quello) con il quale ti sei aperto la bocca: vino, una giara di hATs di pietra  bianca”.

Varie divinità hanno un rapporto diretto con il vino. Shezmu, il dio del torchio, nei 
Testi delle Piramidi offre a Osiri il succo dell’uva spremuta. Ma il suo ruolo è anche 
quello di preparare al re defunto un pasto di divinità che egli macella e arrostisce in 
grossi calderoni. Nel Medio Regno, nei Testi dei Sarcofagi, il ruolo di Shezmu 
come massacratore continua, ma ora compare spesso anche come produttore di 
balsami e unguenti13, mentre dal Nuovo Regno in poi egli è spesso rappresentato 
come portatore di offerte. Altre divinità hanno significativi riferimenti con il vino:
Hathor, la dea-vacca alla quale si celebra la festa dell’ebbrezza nei giorni 18-
20 del primo mese dell’inondazione, il mese del dio Thot; Sekhmet, la dea leonessa che si inebria bevendo una grande quantità di birra colorata in rosso credendola sangue e perde così coscienza della sua missione di distruggere l’umanità;  Bastet, la dea gatta di Bubasti, la città in cui si consuma una grande quantità di vino quando si celebra la festa per lo scampato pericolo della distruzione del genere umano.

Sono molte le divinità interessate indirettamente al vino perché questa è la bevanda di elezione delle offerte di pacificazione. E’ per questo motivo che, in forma piana o a 
tutto tondo, viene spesso rappresentato il faraone, o la regina18, che offre due coppe di vino a una divinità.

Il mito egizio conosciuto come “La distruzione del genere umano” ci spiega i motivi 
che hanno reso il vino l’offerta privilegiata per pacificare le divinità pericolose. Il dio 
sole Ra, già vecchio e stanco, viene a conoscenza di una congiura tramata dagli 
uomini nei suoi confronti. Il dio manda a chiamare sua figlia Hathor e le ordina di 
distruggere il genere umano. La dea si trasforma nella feroce leonessa Sekhmet e 
inizia la carneficina. Ma nel vedere il massacro che Sekhmet sta compiendo il dio Ra 
si pente della sua decisione e per salvare l’umanità trova un espediente: durante la 
notte, mentre Sekhmet riposa, ordina di preparare una grande quantità di birra, la fa 
colorare in rosso con ematite e la fa versare nel territorio in cui opera la terrificante 
dea leonessa. Al suo risveglio Sekhmet rimane deliziata nel vedere tutto quel liquido 
rosso che considera sangue e ne beve fino a perdere coscienza della sua micidiale 
missione. Così l’umanità è salva e festeggia ogni anno a Bubasti, nella città della 
gentile e amabile dea gatta Bastet, lo scampato pericolo.

Erodoto ci informa che per questa festa si riunivano fino a 700.000 persone e che nel percorso per raggiungere Bubasti “le donne lanciano frizzi e grida alle donne di quella città; o accennano a movimenti di danza; o ritte in piedi si tiran su le vesti: e questo a ogni città che incontrano lungo il fiume. Giunti che siano a Bubasti, celebrano la festa compiendo grandi sacrifici: e si consuma più vino di vite in questa solennità che in tutto il resto dell’anno”.

Il colore rosso del vino evoca il sangue del nemico vinto e per questo motivo è usato 
nel rituale di pacificazione. Nel “Mito della dea lontana” Thot e Shu, gli dei 
incaricati di convincere Sekhmet a ritornare in patria, cercano di ammansire con un 
vaso di vino la terribile leonessa. Quando la birra è offerta al posto del vino, essa è 
idealmente colorata in rosso perché è sul colore rosso sangue che si fonda l’efficacia 
del rito.

Le bevande offerte alle divinità nei templi sono usualmente la birra e il vino; i 
“calendari delle feste” dei templi ci documentano che delle due bevande il vino era 
maggiormente privilegiato. Per l’approvvigionamento del vino i templi possedevano 
terreni coltivati a vigneti in varie località dell’Egitto, in particolare nel Delta. Il 
Ramesseum, il tempio dei milioni d’anni di Ramesse II, riceveva forniture di vino da 
ben diciotto differenti vigneti localizzati nel lontano Basso Egitto. Osiri, il dio dei morti, è indicato come il signore del vino in testi che vanno dall’epoca delle piramidi fino al tardo periodo greco-romano. “Ecco, egli (il re) è venuto come Orione; ecco, Osiri è venuto come Orione,  Signore del Vino nella festa wAg”

Diodoro Siculo conferma, nel I secolo a.C., che fu Osiri a “insegnare al genere 
umano la piantagione della vite e la semina del frumento e dell’orzo”. Per la nostra razionalità le incongruenze non mancano. Ricordiamo la già citata formula dei Testi delle Piramidi in cui il vino è l’occhio di Horus strappato a Seth. In epoca greco-romana il papiro Jumilhac riporta che dai due occhi udjat, che erano stati interrati, sono sorti germogli di vite; e più avanti il testo specifica che “in quanto all’uva, è la pupilla dell’occhio di Horus; in quanto al vino che se ne fa, sono le lacrime di Horus". 

Ma è senz’altro Osiri il dio più strettamente collegato all’uva e al vino, tanto da 
ritenere che egli fosse addirittura presente nella pianta.  Il dio è spesso rappresentato in trono sotto un chiosco con una tettoia da cui pendono grappoli di uva nera. Talvolta ai grappoli d’uva si alternano fiori di loto per rendere più pregnante il senso della rigenerazione di cui Osiri è simbolo.

Dalla V dinastia in poi nelle tombe sono spesso rappresentate la vendemmia e la 
pigiatura dell’uva33. La vendemmia si fa a fine giugno-primi di luglio, a cui segue la
pigiatura del vino. Queste operazioni anticipano di poco l’inondazione del Nilo, che 
si faceva iniziare intorno al 19 luglio in combinazione con l’uscita eliaca della stella 
Sothis-Sirio nel cielo egiziano. Il valore rigenerativo dell’esondazione del Nilo era un 
dato reale per l’Egitto che da essa otteneva fertile limo e certezze alimentari per 
l’anno successivo. Ma il limo dava anche una colorazione rossastra all’acqua 
dell’inondazione e da qui scaturiva il suo valore simbolico di rigenerazione, in virtù 
del suo colore rossastro, per l’assimilazione al sangue di Osiri, e per analogia al vino 
e alle vigne. La tomba di Sennefer (TT 96 B - XVIII dinastia, regno di Amenhotep 
II), nella necropoli di Qurna (Luxor), conosciuta anche come “tomba delle vigne”, ci 
offre uno straordinario esempio pittorico di una vigna che si diffonde sulle pareti e 
sul soffitto della tomba per significare simbolicamente la rigenerazione del defunto 
Sennefer.

Ma il significato di queste associazioni è ancora più profondo. Scrive il Tefnin che il 
significato dell’uva strappata dalla vigna e calpestata evoca la morte e lo 
smembramento di Osiri. La trasformazione del mosto in vino è una metafora della 
rinascita di Osiri, così come di ogni defunto. Alla luce di questa metafora il “canto 
dei vignaioli”, riportato sulle pareti della tomba di Petosiri a Tuna el-Gebel (fine del 
IV secolo a.C.), potrebbe manifestare la gioia dei vignaioli che con le loro operazioni 
rappresentate sulle pareti del vestibolo assicurano la rigenerazione del loro signore.

Un papiro esposto a Londra nel British Museum sintetizza in una vignetta 
importanti significati simbolici. Una coppia di defunti è in adorazione di Osiri in 
trono alle cui spalle è rappresentata Maat, la dea dell’ordine e della giustizia. Tra i 
defunti e le divinità si interpone uno stagno sulle cui rive prosperano alberi da frutto. 
Da una estremità dello stagno si sviluppa una vigna che cresce in direzione del viso di Osiri. La presenza dello stagno – le cui acque simboleggiano Nun, il dio che 
personifica le acque primordiali esistenti prima della creazione – evoca la creazione 
delle origini mentre la figura di Osiri richiama la morte: ma la vigna, pianta 
rigeneratrice per eccellenza, riporta la vita ad Osiri e dal dio si riflette sui due defunti 
imploranti.

Si tratta in sostanza di significati convergenti con quelli trasmessi dal decoro della 
tomba di Sennefer: la rigenerazione del defunto è assicurata dai ricorrenti cicli della 
natura a cui egli è magicamente associato mediante le immagini della vigna e 
dell’uva e l’evocazione dell’inondazione. Il Museo del Louvre possiede una minuscola placchetta d’avorio, risalente alla fine dell’epoca amarniana, che mostra un giovane principe che in una mano tiene un fiore di loto mentre con l’altra mano coglie grappoli d’uva in un vigneto: il giovane principe nella vigna è stato interpretato come il futuro sole che nascerà dal fiore di loto.
 
Il vino è assimilato per il suo colore al sangue e all’acqua vivificante dell’inondazione ed entrambi, il vino e l’inondazione, sono simboli della morte e della resurrezione di Osiri. Il valore rigenerativo del vino per i defunti vale anche per l’uva. Nel capitolo 
XXXVIII del “rituale dell’apertura della bocca”, intitolato “offerta dell’uva”, così si 
esprime il prete sem: “Oh N! Prendi per te l’Occhio di Horus! Prendi possesso di lui, 
perché quando tu ne avrai preso possesso, egli non scapperà più! Prendere l’uva alla 
sua bocca”.

Il simbolo del sangue del dio Osiri morto e i significati mistici della vigna e del vino 
si affermano anche in epoca greco-romana come promessa di rinascita per ogni 
egiziano. Decorazioni in tale senso si trovano su pareti di tombe e su sarcofagi.

Un tardo papiro magico porta al limite estremo il potenziale di rigenerazione del 
vino: il dio Osiri offre da bere alla sua sposa Isi e a suo figlio Horus una coppa del 
suo sangue per ottenere la sua rinascita43. Tali simbologie si protraggono poi nel 
periodo copto44 e più tardi ispirano anche i testi e l’iconografia cristiana.
Durante l’Ultima Cena Cristo porge ai discepoli una coppa di vino con le parole 
“Bevetene tutti, questo è il mio sangue”45. Il fondamento della religione cristiana 
riprende in forma drammatica i simboli maturati nella religione egizia e ancora oggi il 
messaggio si perpetua nel rito dell’Eucarestia durante la Messa.

Nel Vangelo di Giovanni è lo stesso Cristo ad affermare: “Io sono la vera vite e il 
padre mio è il vignaiolo”46. Queste parole di Cristo sono state riprese dai Padri della
Chiesa per ridefinire in una concezione cristiana l’immagine dell’ “albero della vita”: 
“Gesù è il tronco da cui sono germogliati i tralci e insieme la totalità della pianta”.

Sulla equivalenza del vino al sangue nel contesto della resurrezione, l’iconografia 
cristiana ha sviluppato l’impressionante tema del “torchio mistico”: Cristo è 
rappresentato sotto un torchio ed è assimilato all’uva da schiacciare per raccogliere in una tinozza il sangue divino, promessa di resurrezione.

Sono numerose le rappresentazioni rinascimentali e anche moderne del “torchio 
mistico”. Nella illustrazione di figura 6 privilegiamo, rispetto ad altre, la 
rappresentazione del torchio mistico che si può visitare a Milano, nella Chiesa di 
Santa Maria Incoronata, in corso Garibaldi: un grande affresco parzialmente rovinato, 
eseguito intorno al 1480 e attribuito al Bergognone, mostra Cristo oppresso dalla 
croce. Sul lato sinistro dell’affresco la croce diventa il torchio che comprime Cristo, 
il cui sangue è raccolto in una bacinella ai suoi piedi. La colomba dello Spirito Santo, 
la madre Maria e il padre Giuseppe assistono con alcuni Dottori della Chiesa al 
supplizio di Cristo. 

Come il vino-sangue di Osiri testimonia il dramma della sua morte e la successiva 
salvezza dei defunti “giustificati”, così il vino-sangue di Cristo evoca con la potenza 
delle immagini simboliche del “torchio mistico” il dramma della sua passione e morte 
per la redenzione dell’umanità".
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