di AGAZIO LOIERO
L’azione terroristica che Hamas ha compiuto il 7 ottobre in Israele è orrendo: bambini, neonati ai quali è stata tagliata la testa e utilizzata come un pallone da prendere a calci, ostaggi trascinati di forza a Gaza, giovani torturati, e un numero altissimo di persone, rapportato alla popolazione d’Israele che non supera i dieci milioni di abitanti, uccise, sventrate. Un orrore senza fine. Difficilmente collocabile nella civiltà di questo nostro tempo, che spesso con una certa superbia decantiamo. Di più. Da parte di un certo Occidente di sinistra non è stato registrato sul tragico evento neanche una breve dichiarazione di solidarietà.
La reazione di Israele, purtroppo largamente immaginabile, selvaggia come sempre è la vendetta, specie quella che si consuma nell’immediato, è altrettanto orrenda. Non all’altezza della storia degli ebrei che è, lungo l’arco dei secoli, una storia di vittime e non di carnefici. E’ noto che esiste, per più di un motivo, un’avversione storica strisciante ma tenace contro gli ebrei. Quello più duraturo è l’accusa di deicidio, rimasto in vita per 2mila anni.
Solo all’inizio degli anni ’60 Giovanni XXIII arrivò ad ammettere che “Gesù morì da ebreo” e riuscì a cancellare dai salmi pasquali la frase “perfido giudeo”. Le persecuzioni più violente, i pogrom nella Russia a cavallo tra Ottocento e inizio Novecento, quelli dell’Est europeo insieme ad un diffuso sentimento antiebraico fanno ormai parte della storia soprattutto europea. Un sentimento che si placa solo di fronte all’immagine di quegli scheletri viventi con il pigiama a strisce che nel dopoguerra ci toccò vedere dietro il filo spinato dei campi di concentramento.
Dunque fino a quando il mondo prese coscienza della Shoah. L’impatto fu così forte che nel tempo si registrò anche una disputa filologica sul nome da dare a quella tragedia che, in quella dimensione, appariva unica nella storia del mondo. Quelli che intendevano definirla “Olocausto” furono zittiti perché quest’ultima parola – si disse – implica il concetto di ineluttabilità. Col passare degli anni però il ricordo della Shoah si è attenuato.
Oggi alcuni sondaggi affermano che il mondo, diviso in tifoserie rispetto al conflitto in corso, parteggia in grande prevalenza per i palestinesi. Si dà il caso però che il mondo non è un immenso campo di calcio, né una grande aula di tribunale dove si attribuisce una ragione e un torto. Talvolta capita che la storia con i suoi sinuosi sentieri ti faccia trovare di fronte a due ragioni o a due torti contrapposti. Nel nostro caso esiste poi un elemento materiale e uno immateriale, da prendere in considerazione. Cominciamo dal primo. Lo Stato d’Israele, insediatosi nel 1948 in Palestina, grazie alla nota Risoluzione dell’Onu, ha mostrato al mondo quasi immediatamente la sua volontà di estendersi oltre i limiti della Risoluzione.
Furono molti i villaggi palestinesi sottratti a chi ci viveva da secoli, molti Kibbutz furono negli anni, con il tacito consenso del governo del tempo, costruiti da coloni invasivi. Negli anni la Striscia di Gaza è diventa una prigione di civili. In questi giorni, in reazione ai vergognosi episodi di terrorismo del 7 ottobre, su questa prigione piovono le bombe di Netanyahu che, sbagliando, gioca, attraverso questo strumento di violenza, una disperata partita di politica interna. E’ di ieri la notizia che un suo ministro ha prospettato l’ipotesi dell’uso dell’atomica per porre fine al conflitto. Politicamente una follia e un’idiozia, entrambi allo stato puro. Specie agli occhi dell’Occidente, costretto a vedere ogni giorno in televisione le scene di bambini sanguinanti portati in braccio di corsa verso un introvabile pronto soccorso.
Quindi il secondo elemento, quello immateriale: il problema della memoria. Alla luce dei fatti appena ricordati la tragedia della Shoah sembra sbiadire fino a scomparire del tutto. Non è un caso che nel mondo siano ripresi atti di antisemitismo. Questo mostro, che il ricordo della Shoah si sperava avesse debellato per sempre, sembra di nuovo insinuarsi con prepotenza nella nostra vita. E’ questo, l’antisemitismo che rinasce, il problema più grande che oggi si pone davanti al mondo, dove le democrazie sono deboli e le autarchie imperano. Esso s’incrocia con due elementi destinati nel tempo a favorirlo. La pervasività violenta di certi social spesso carichi di bugie e di supponenza – alcuni arrivano a negare che la Shoah sia mai avvenuta – e la caduta verticale della memoria.
Segnalo a questo proposito la lettura di un bel libro, uscito un paio di anni fa, di un intellettuale di qualità, Adriano Prosperi, (editore Einaudi) il cui titolo è: “Un tempo senza storia” nel quale si ipotizza con preoccupazione che siamo ormai ineluttabilmente entrati nella società dell’oblio. Quello che sta avvenendo in Medio Oriente ne è la dimostrazione.
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