di GIUSY IEMMA*
Giulia Cecchettin è la centocinquesima vittima di femminicidio nel 2023. È evidente che la violenza di genere resta una emergenza del Paese, dati alla mano, lontana dall’essere risolta.
Ancora troppe parole e troppi provvedimenti che si stanno rivelando un’arma spuntata, se solo pensiamo a quante volte ad uccidere è stata la mano di uomini che pure erano stati denunciati. Non è bastato quindi allontanarli, non è bastato il braccialetto elettronico al braccio se poi alla fine sono riusciti a portare a termine i loro propositi di morte.
La verità è che ci misuriamo con un problema di ordine culturale e sociale che poi sfocia nel crimine. Rispetto a questo non possiamo limitarci a dibattere. Un Paese in cui, a parità di lavoro svolto, la retribuzione delle donne è inferiore a quella degli uomini mediamente del 30% è un Paese che non riuscirà facilmente ad affrancarsi dalla cultura “proprietaria del corpo femminile”. Non è un parallelo azzardato, quello appena fatto. È invece il modo per capire quanto pesi l’arretratezza culturale con cui ancora siamo costretti a misurarci e quanto ancora l’autonomia delle donne sia lontana dal realizzarsi pienamente.
Se poi vogliamo restare circoscritti al tema della violenza di genere è indubbio come la stessa non nasca nel momento in cui si perpetra il delitto, ma che trova radici ben più profonde di tipo culturale ed educativo. In questo senso le istituzioni educative svolgono un ruolo fondamentale: è quindi necessario pensare a percorsi di educazione sentimentale e sessuale nelle scuole per accompagnare gli adolescenti, i giovani, spesso naturalmente piu’ fragili, nel loro percorso di crescita, evitando di lasciarli in balìa di quella cultura ancora retrograda e delle sue manifestazioni più deteriori, che vanno dall’educazione, talora sbagliata, ricevuta in casa, alla violenza che impazza sulla rete, alla pornografia intesa come la più cattiva delle maestre possibili.
Ben vengano, dunque i dibattiti, ben venga l’associazionismo, ben vengano i centri antiviolenza, ma dobbiamo sapere che tutto questo, per quanto importante e meritorio, è ancora poco. Serve altro, serve di più.
In un momento storico come l’attuale in cui abbiamo la prima premier donna e la prima leader d'opposizione donna, bisogna sfruttare l'occasione per cambiare davvero il nostro Paese, contribuendo a renderlo finalmente un posto sicuro, in cui le donne non debbano avere paura degli uomini, e siano davvero libere di affermarsi come individui.
C’è una battaglia politica da fare per tutte e per tutti. Una battaglia che va oltre la prevenzione o l’assistenza rispetto al caso singolo, una battaglia che deve vederci seriamente impegnate ed impegnati a far imboccare al nostro Paese la via del vero progresso, dove i centri antiviolenza non abbiano più ragione di esistere perché abbiamo vinto la battaglia di tutte le battaglie, quella di civiltà.
Questo significa lavorare e lottare tutti insieme, uomini e donne, per creare le condizioni affinchè non si assista più all'uso strumentale del genere femminile nella società, che, con grande onestà, dobbiamo dire essere ancora culturalmente maschilista, ad ogni livello.
Per Giulia e per tutte le Giulia che vivono dentro di noi.
*Presidente dell’Assemblea Regionale PD, Vicesindaco di Catanzaro
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