Tanto tuonò che piovve. Il caso SACAL, che in queste ore sta attirando su di sé l’attenzione della politica calabrese, è davvero sconcertante. Dico questo, con la piena consapevolezza del peso delle parole. Questa vicenda disvela quanto sia stata miope la gestione, a diversi livelli. Lo è tanto più, nella misura in cui riguardi la società di gestione degli scali aeroportuali calabresi, quindi, in buona sostanza, la porta d’ingresso principale, nonché il maggiore punto di riferimento di quello che dovrebbe essere un sistema intermodale della nostra Regione. La grave situazione è stata posta in risalto dal neo Presidente della Regione, per cui si è reso necessario l’arrivo di Roberto Occhiuto, ma soprattutto della sua avvedutezza e attenzione, per informare i cittadini calabresi di quanto sia successo.
Ora, al di là del legittimo e conseguente contrasto insorto con l’organo nazionale di settore, circa la possibilità di “catalogare” la società Sacal nell’alveo dei soggetti a partecipazione (o controllo) pubblico, l’aspetto che indigna fortemente è la predisposizione superficiale nell’azione di governo di un settore della massima importanza per il nostro territorio. Ciò è un metodo malsano comunque, ma in questo caso è imperdonabile. Come si può invocare in modo reiterato, aggiungo strumentalmente, lo sviluppo della nostra Regione, quando i fondamentali presìdi di sviluppo vengono “amministrati” in modo scadente ed insufficiente? Il passaggio della società aeroportuale calabrese, nella maggioranza azionaria, in mani private manifesta, oltre che una scarsa attenzione della politica, anche la mancanza di capacità di dotarsi degli strumenti giuridici necessari, per il governo di vicende come quella in oggetto.
Come saggiamente scrive il Prof. Regasto, sulle colonne del Corriere della Calabria, sarebbe stato opportuno fare ricorso, o, per meglio dire, avere contemplato aprioristicamente nello statuto sociale di riferimento, adeguati patti parasociali, cioè quelle convenzioni decisive, stipulate dai soci per imprimere un indirizzo all’organizzazione e alla gestione di una compagine societaria, tesi ad assicurare il controllo dei soci pubblici. Aggiungo, sommessamente, anche l’opportunità di convenzioni statutarie – “clausole di covendita” -, importanti nel regolare l’ingresso di nuovi soci di maggioranza all’interno del capitale sociale, o nel massimizzare le condizioni di vendita delle partecipazioni societarie. Strumenti giuridici di derivazione dai sistemi di “common law”, ma ormai ampiamente recepiti e praticati nel nostro diritto societario. Purtuttavia, senza entrare in tecnicismi, in questa sede oltremodo inconferenti, mi preme ribadire come sia avvilente apprendere dell’avvenuto trasferimento delle quote societarie di maggioranza di una società particolarmente strategica, senza un chiaro riferimento di ancoraggio alla difesa dell’interesse dei cittadini calabresi.
A questo punto, non avrei meraviglia se simili fattispecie si palesassero, nei prossimi mesi, in altri settori fondamentali della nostra quotidianità. Tutto questo apre anche lo scenario – di carattere più generale - della importanza del controllo pubblico di determinati segmenti di riferimento della società. L’apporto del soggetto privato è certamente fondamentale, da tempo, in una logica di sussidiarietà. Ma, per quanto meritevole, “il privato” ha un limite intimo ed intrinseco nel concepire precisi aspetti di gestione di alcuni comparti particolarmente vitali per l’interesse della collettività. E’ condizionabile da fattori di convenienza. Questo non deve accadere, specie quando i denari in questione appartengono a tutti noi.
Ciò detto, la politica deve sapere svolgere la sua funzione.
Avv. Francesco Bianco
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