di ANTONELLA CIAPPETTA*
“Distanti ma uniti!". Questa è la frase che ripeto tutti i giorni a me stessa quando, dinanzi ad un computer acceso su un mondo virtuale, ritrovo, negli sguardi un po’ assonnati dei giovani studenti , il “senso” del mio essere docente. Anch’io, come tanti altri colleghi, avevo sentito parlare di “didattica a distanza”, in parte ne avevo compreso il significato ma sicuramente non avrei mai immaginato di trovarmi di fronte ad una sfida così impegnativa e nello stesso tempo altrettanto coinvolgente.La chiusura delle scuole e la conseguente sospensione delle attività didattiche ha cambiato la nostra maniera di “vivere”, il nostro modo di educare, perché “insegnare”, prima di tutto, significa “lasciare un segno” nei cuori, più che nelle teste, dei nostri ragazzi.
Tuttavia, l’emergenza sanitaria è stato uno “tsunami” non solo per le nostre vite ma anche per la scuola costretta a rivedere, in tempi record, la sua organizzazione con la consapevolezza che la sua forza risiede nel senso di appartenenza ad comunità educante, fatta di Dirigenti, di docenti, di personale scolastico, impegnati a garantire il principio costituzionale del diritto all’istruzione per realizzare una società democratica, sostenibile e solidale. Fin dal primo momento ci siamo resi conto dell’importanza della didattica a distanza quale strumento, da riuscire a padroneggiare, per poter ascoltare, accogliere e soprattutto rassicurare bambini, ragazzi, adolescenti e giovani, disorientati di fronte ad un mondo che è crollato dinanzi ai loro occhi. La scuola deve cambiare, ci siamo detti, ma come? Come costruire una nuova relazione educativa se prima non cambiamo la nostra mentalità, non abbandoniamo quelle “inutili certezze” aprendo i nostri cuori alla speranza e al nuovo che avanza. E’ evidente che l’insegnamento tradizionale non sembra fornire più risposte concrete alle continue istanze provenienti da una società che vede nel cambiamento l’unica possibilità di sopravvivenza.
Anche la scuola, come afferma Zigmunt Bauman, deve operare una “rivoluzione culturale” ripensando il ruolo del docente chiamato ad adottare uno stile di insegnamento “liquido” flessibile capace di fornire strumenti innovativi insieme a nuove categorie mentali per comprendere e risolvere i problemi della contemporaneità . In tal senso la didattica a distanza, se pur con i suoi limiti, ci ha permesso di scoprire un nuovo modo di “fare scuola” ma “non a scuola” riscoprendo la bellezza della ricerca, del mettersi in gioco, per esprimere creatività, ingegno al fine di ritornare a stabilire con i nostri alunni quel rapporto di fiducia e di amore senza il quale, anche Platone insegna, non c’è apprendimento. Abbiamo avvertito, dunque, un grande senso di responsabilità non solo professionale ma soprattutto umano attivando tutte le nostre competenze ed energie per stare vicino ai più fragili, ai più indifesi, interpretando le loro paure, il senso di smarrimento letto attraverso i loro occhi che prendono vita, ogni giorno, su piattaforme virtuali, in un “tempo dilatato”, e che ci chiedono aiuto perché il loro mondo è crollato e con esso i loro sogni.
“La scuola deve cambiare” è stato lo slogan che ha caratterizzato i nostri programmi, i nostri corsi di formazione, le politiche di edilizia scolastica, incuranti del fatto che a cambiare prima di tutto dobbiamo essere noi come educatori, come genitori, come istituzioni perché abbiamo “rubato” ai giovani il loro futuro e le loro speranze. In questo momento la didattica a distanza ci suggerisce di non dare importanza ai voti, agli orari rigidi, alle lezioni frontali bensì di stare vicino ai nostri ragazzi per aiutarli a superare questo difficile momento storico. Ognuno di noi è chiamato a svolgere la propria “missione” perché l’insegnamento è una vocazione ed è la più bella professione del mondo in quanto vive di relazioni umane e di senso di appartenenza ad una comunità educante che ancora oggi è capace di esprimere con forza la sua resilienza.
Concludo le mie riflessioni affermando che la scuola non potrà più ritornare ad essere quella di prima; ci auguriamo che da questa esperienza usciremo tutti più forti e consapevoli di quanto sia importante ritrovare una nuova alleanza educativa, tra docenti, tra studenti, tra istituzioni e famiglie per costruire un mondo migliore, democratico e solidale,nel quale ciascuno possa sentirsi libero di esprimere il proprio “talento” ed evitare ogni forma di isolamento e di demotivazione. L’Italia è una grande nazione e la scuola come l’Araba Fenice rinascerà dalle proprie ceneri. Buon lavoro a tutti noi!
*Docente di Scienze umane c/o l’IIS “Lucrezia della Valle” Cosenza
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