"Ebbene si, è proprio come enunciato nel titolo. In Calabria siamo riusciti nell’operazione di ulteriore devastazione di un ospedale di zona disagiata del quale, oramai, i fatti novellano quel senso di “disastro” che accompagna tante strutture ospedaliere e non. Il tutto nella totale indifferenza di tutti gli interlocutori istituzionalmente preposti. Come FPCGIL abbiamo iniziato un percorso di valutazione di quanto sta succedendo nella sanità calabrese che insiste sul nostro territorio, partendo dal racconto delle singole strutture. Un racconto che vuole denunciare il nulla che il Commissario ad acta è riuscito a realizzare fin qui. Narrare quindi, il crogiolo di impotenza e rammarico che pervade chiunque capisca di sanità e si trovi ad entrare nel presidio di Soveria Mannelli, è facile perché legato certamente al senso comune e alla cultura sanitaria patrimonio di tutti gli Italiani. Già la rampa di accesso al presidio appare groviera da percorso rallistico. Lo stato di abbandono traspare fin dalla porta d’ingresso che si presenta presidiata da un venditore ambulante e quasi totalmente scardinata. Laddove un tempo sventolava il tricolore e il blu dell’Europa, simboli di quella civiltà di cui la nostra sanità pubblica era avanguardia, non restano che dei tristi “monconi” sormontanti una “alcova” per fumatori, lontana da quell’idea di ospedale di un paese appartenente, udite udite, al G7. Tacere oltre, dopo aver lungamente atteso e sperato che, anche in questo territorio, si producessero “dinamiche sanitarie” in grado quantomeno di stabilizzare il “paziente”, non è più possibile. Il risultato dell’attesa, difatti, è stato lo zero Kelvin…… I pochi reparti attivi (fondamentalmente 2 più il Pronto Soccorso), vivono dell’eroismo vero di medici e operatori sanitari che si adoperano ancora per dare risposte ad un comprensorio sempre più affamato di sanità per ragioni geografiche ed epidemiologiche facilmente intuibili. Siamo all’intersezione tra le provincie di Cosenza e Catanzaro, in una zona montana dove, a parte quel poco appena narrato, non è rimasto più nulla. Tutto ciò si consuma nell’anno in cui il presidio festeggerebbe il 50 compleanno (luglio 1974), come ci ricorda una targa presente all’ingresso. Se si procede al suo interno l’angoscia diventa sentimento pervasivo e totalizzante su chiunque abbia la necessità di entrarvi alla ricerca di una prestazione sanitaria che, probabilmente, non riuscirà ad ottenere. Porte diffusamente chiuse su stanze vuote che, ad un certo momento del giorno, quando i pochi pazienti cui il sistema è riuscito a garantire una risposta sanitaria ai propri bisogni manifesti, sono andati via, rendono il panorama “spettrale”. Preconizzare che ciò, alla lunga, sarà indiscusso induttore di patologie professionali di tipo reattivo sui pochi operatori rimasti “al fronte”, a difesa della sanità pubblica nel nulla, è semplice quanto solare. I medici e gli operatori sanitari, ribadiamo, eroici che giornalmente continuano a cimentarsi nel loro complesso lavoro, in totale assenza di supporto da parte di chi a tale funzione è preposto, sono i primi ad essere a rischio. Basti qui la considerazione che, ad esempio, lo specialista oculista che garantiva l’apertura di un ambulatorio una volta a settimana, è stato spostato su Lamezia causa assenza di adeguata strumentazione di base per ambulatorio di oculistica. Alcuni raccontano che fosse costretto ad operare con un ottotipo rotto da tempo immemore….. Eppure qui si è consumata una sanità efficace che, in tempi non troppo lontani, vedeva bimbi e mamme riempire l’ambulatorio di Pediatria, pazienti che strabordavano dalla sala d’attesa della Patologia Clinica, degenza della Medicina piena quanto ambita da chi ne aveva bisogno. La struttura certamente non soffriva di carenza di domanda, ma tant’è. Siamo in tempi di autonomia differenziata che, se confermata per come nella stesura conosciuta, sarà devastante per la Calabria, checché ne dica il nostro Presidente del Consiglio regionale, non solo nel settore sanitario. Ci domandiamo però se una tale “programmata” devastazione di un presidio ospedaliero, si fosse realizzata in un paese montano del Veneto o del Trentino, avrebbe avuto lo stesso percorso senza colpevoli? Sarà forse perché il “nostro” presidente appare irrimediabilmente vittima del fascino del romanesco? Suvvia presidente, l’accento rende oramai cacofonico ogni suo tentativo di ostentata “romanità”. Ogni tanto si sforzi di dire qualcosa in calabrese. Meditate calabresi, meditate!".
Così, in una nota, il Segretario Generale FPCGIL Area Vasta, Franco Grillo
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