Il leader dimezzato

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L'avvocato Francesco Bianco
  30 gennaio 2020 15:15

E’ calato il sipario sulle elezioni regionali. Il vento che soffiava sul nostro Paese avrebbe indotto qualunque pensatore a ritenere che le elezioni regionali di domenica 26 gennaio avrebbero avuto epilogo diverso. Sulla scia delle precedenti passate consultazioni. Ma, evidentemente, l’onda lunga del sovranismo italico si è infranta insorabilmente. Almeno per ora.

Venendo al merito del discorso, mi hanno insegnato che, nella vita, gli errori si pagano, prima o poi. A pensare bene, il leader della Lega, dall’estate scorsa, ha inanellato una serie di gaffes, confluite nella prima vera sconfitta elettorale: quella dell’Emilia Romagna. Parlerò in seguito della Calabria. Gli errori sono stati di strategia. Ciò risulta vero, nella misura in cui Salvini ha da subito caricato di significato politico una competizione che avrebbe dovuto rimanere sul piano amministrativo, dichiarando a chiare note che avrebbe stravinto. Con la certezza di dare una spallata al governo Conte, quest’ultimo oggi risulta più vivo e vegeto che mai. Succede di perdere in tale modo quando si esaspera al limite della personalizzazione una competizione, nel senso che si lancia una sfida elettorale tale per cui lo sfidante intende marcare un territorio in modo radicale. In altre parole e più prosaicamente, si sottintende, o state con me o contro di me.

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Tornando alla serie di errori, l’esordio è stato l’8 agosto, giorno in cui Matteo Salvini, dalla spiaggia del Papeete di Milano Marittima, annunciava una imminente crisi di governo, invocando pieni poteri. Ciò avveniva nel mentre di una brutale strumentalizzazione della triste vicenda del caso di Bibbiano. Per inciso, nel Comune appena citato la Lega ha perso. Non si dimentichi, a completamento del quadro di insieme, della vicenda della nave Gregoretti e della citofonata alla famiglia tunisina residente nel quartiere Pilastro di Bologna, chiedendo informazioni sulla ipotetica attività di spaccio di sostanze stupefacienti. Con tanto di telecamere al seguito. Ora, senza alcun dubbio, il problema della droga è reale, specie nei quartieri degradati. Ma i problemi si risolvono, non si strumentalizzano, soprattutto se a strumentalizzarli è un signore che è stato Ministro degli Interni. Tutto ciò è in perfetta sintonia con l’atteggiamento di chi sale sul palco di Pontida con un crocifisso in mano. Sbandierare simboli religiosi può fare presa sulle menti meno strutturate o, se vogliamo, più “deboli”, ponendo in risalto un particolare sistema di “valori” cui attinge il segretario della Lega. In sostanza, un modo di operare che alimenta le paure per offrire alle stesse una forma di protezione verbale, con l’amara conseguenza che le questioni rimangono inesorabilmente sul tappeto. Senonchè, un ceto borghese colto ed una classe imprenditoriale seria e laboriosa, in Emilia Romagna, non si è fatta irretire dalla propaganda leghista. Un elettorato intimamente moderato, che pensa ai problemi della quotidianità e lavora con risultati encomiabili, non può esprimere il consenso a chi si rende protagonista delle azioni sopra descritte.

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La verità è, a mio parere, che il leader della Lega , molto abilmente, ha dimostrato particolare capacità nel fare campagna elettorale. Lo dimostra la percentuale di consenso raggiunta dal suo partito in pochi anni. Senza alcun dubbio. Ma l’arte del governare è decisamente altra cosa. Postula la risoluzione di problemi, serietà, impegno e studio. Senza dimenticare che non è stata centrata la candidatura della Borgonzoni, ragione per la quale la mente del partito, Giancarlo Giorgetti, ha iniziato ad operare dei distinguo. Ed è solo l’inizio. Non a caso parlo di leader dimezzato. Accanto al dato della personalizzazione della sfida emiliano-romagnola, considero altri fattori come cause del risultato elettorale. Innanzitutto, una indiscussa azione di buona amministrazione e di buon governo, riconosciuta in quella regione in modo trasversale. L’elemento di una forte leadership, sul piano delle risposte alle istanze del territorio, ha contribuito non poco alla vittoria del centro-sinistra. Bonaccini ha potuto facilmente snocciolare i risultati di un’azione amministrativa seria e complessa, partendo dai dati sulla sanità. Si aggiunga l’esistenza di uno storico tessuto socio-economico, fondato sul mondo associativo e cooperativo difficilmente penetrabile, humus favorevole per la nascita di esperimenti sociali attenti al buon vivere civile.

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Da ultimo, ricordo l’apporto elettorale del movimento delle sardine, unitamente ad una buona dose di voto disgiunto (non ammesso in Calabria), da parte dei 5 stelle e di settori di appartenenza a Forza Italia. Il movimento delle sardine, in quella regione, ha dimostrato grande vitalità e sensibilità nei confronti di un gioco di squadra importante per un successo nelle urne. Ma, attenzione, la storica roccaforte rossa dell’Emilia non è l’Italia. Il successo del centro-sinistra non ha decretato la fine della destra, il cui vento sovranazionale non può ovviamente essere considerato defunto sulle sponde del Po. Né il partito democratico, che pure ha ben tenuto, può pensare che siano risolti tutti i suoi problemi. Il vero vincitore è stato il governatore emiliano. Solo una seria considerazione delle questioni interne ed una autentica apertura verso un polo riformista può ridare slancio ad un’azione di governo, fino ad ora non proprio brillante. Ha riscosso ampio successo un modello diverso di centro-sinistra, incarnato da Elly Schlein, la candidata più votata in Emilia Romagna.

La Schlein, ex eurodeputata del PD, è stata la frontwoman della lista “Emilia-Romagna Coraggiosa”, squadra di persone appassionate e credibili, provenienti dal mondo associativo, sindacale, scolastico ed universitario, riflesso di una realtà poliedrica e inclusiva della società emiliano-romagnola. Ecco, qui sta la ricetta. Ma, l’ostacolo vero, ora, risiede nella caduta dei pentastellati. Ritengo, però, che si stia stagliando con sempre maggiore nitidezza la figura di Giuseppe Conte. Un premier forse sottovalutato. Non si trascuri il dato che Conte è un avvocato che sta imparando velocemente la lezione. E da avvocato conosce molto bene (lo ha dimostrato) lo strumento della mediazione. Autodefinitosi avvocato del popolo, sono convinto che sia, invece, il migliore avvocato di sé stesso. Il premier potrebbe essere mediatore tra le posizioni del PD e quelle del partito dei grillini. Una sorta di Romano Prodi rivisitato e corretto. Purchè vi sia una svolta da parte degli attori principali, entrambi chiamati a due appuntamenti cruciali. Il congresso per il Partito Democratico, sotto la regia di Zingaretti, o, per meglio dire , di Franceschini, gli Stati Generali per i 5 stelle, nei quali ultimi sarà fondamentale l’aspetto organizzativo da sempre latitante. Si parla oggi di fase 2 del governo nazionale. Mi chiedo, però, cosa succederà delle posizioni grilline, con il forte ridimensionamento elettorale. In modo particolare, cosa si deciderà di alcuni temi in discussione, con posizioni a volte divergenti tra le stesse forze di governo. Solo per citarne alcuni, ricordo la riforma della prescrizione, la parità salariale uomo donna, la revoca della concessione alla società Autostrade, i decreti sicurezza, quota 100 (il cui scarso successo è stato decretato da Bankitalia).

Dunque, i 5 stelle dicevo. Per questi ultimi, il discorso è più complesso, arrivando a toccare le basi della democrazia. Mi spiego meglio. Sulla scia di una qualificazione post-ideologica del Movimento, per cui si è ritenuto, fin dal suo sorgere, che il medesimo non fosse né di destra, né di sinistra, ma doveva risolvere determinate questioni, dopo la recente sconfitta elettorale in Umbria, si è consacrata sulla piattaforma Rousseau la volontà di correre da soli, con l’avallo dell’allora capo politico Di Maio. Si è deciso, quindi, di non allearsi con il PD, scegliendo la c.d. “terza via”, in perfetta autonomia. Si fece ciò seguendo il voto di poche migliaia di militanti, contravvenendo, credo, ad un intimo sentimento di segno opposto, quantomeno fondato su basi valoriali, perseguendo l’utopia della democrazia diretta. Qui sta il nodo. Credo che i grillini debbano decidere cosa intendano fare da grandi, in fretta e prima che sia troppo tardi. Posto che la democrazia o è mediata o non è democrazia, per cui solo nell’Atene di Pericle poteva esistere la democrazia diretta, ritengo che l’unica via di uscita sia quella di contribuire alla formazione di un campo largo, di un’alleanza progressista.

Venendo al caso Calabria, per alcuni versi la situazione è simile. Mi riferisco al crollo dei 5 stelle, che, a mio parere, hanno fallito su tutta la linea, soprattutto nell’aspetto del mancato appoggio ad un candidato come Callipo. Mi riferisco anche alla battuta di arresto della Lega, che alle latitudini calabresi puntava a divenire il primo partito della coalizione di centro-destra, risultato che avrebbe conferito al partito di Salvini la caratura di partito fortemente radicato a livello nazionale. Diverso, invece, è il discorso per il candidato vincente. La vittoria di Jole Santelli, con il ragguardevole apporto delle liste civiche raggrumate intorno a Forza Italia, è la piena vittoria di Berlusconi, essendo Forza Italia creatura ed immagine partitica del Cavaliere e militando la Santelli in questo partito fin dal suo sorgere. La neo-governatrice, per la sua storia politica, incarna al meglio i valori e la tradizione del partito azzurro, per cui il plebiscito ottenuto ha rappresentato, in un sistema intrecciato di valori, un argine ad un’onda populista che, negli ultimi tempi, sembrava, inarrestabile.

In questo senso, la nostra regione potrebbe essere un laboratorio per un centro-destra plurale e moderato, pur con il problema della leadership all’interno di Forza Italia. Notevole e degna di nota è stata, inoltre, la performance di Fratelli d’Italia, cresciuta di molto rispetto alle precedenti competizioni. Ugualmente diverso è il discorso relativo al movimento delle sardine. In controtendenza rispetto al dato emiliano, non si è registrato l’apporto a favore del candidato di centro-sinistra. In Calabria, da alcuni lustri, vige la logica dell’alternanza. Di conseguenza si riscontra l’avvicendamento di giunte di colore politico opposto, a causa, reputo, di una incapacità endemica e trasversale di risolvere i problemi gravi della nostra terra. Questo provoca una profonda sfiducia nell’elettorato, al punto tale che il partito del non voto è il primo partito. Fenomeno drammaticamente diffuso tra i giovani. Gli ultimi dati pubblicati da Swg indicano un’alta astensione nella fascia di età compresa tra 18 e 34 anni, pari quasi al 61 %.

A questo punto, pongo alcune considerazioni finali. Presumibilmente, l’esito elettorale ci ha riconsegnato un sistema bipolare. Ora, fisiologicamente, il bipolarismo poggia su un sistema maggioritario, con due blocchi che attraggono il centro. La proposta di riforma della legge elettorale, portata avanti dalle forze di maggioranza, è sostanzialmente di tipo proporzionale, che, naturalmente, dovrebbe supporre l’esistenza di un centro forte che svolga azione di guida. La commistione, quindi, di un bipolarismo con un sistema proporzionale sembrerebbe essere una contraddizione in termini, anche se, la proposta in questione considera una soglia di sbarramento del 5 %. La qual cosa avrebbe l’effetto di stabilizzare il sistema parlamentare. Detto questo, è vero che nella c.d. seconda Repubblica, il sistema maggioritario non ha assicurato piena governabilità. Senza alcun dubbio, il dato basico e di partenza per una stabilità è la serietà di un’azione di governo, ma, ricordo due dati storici. Primo, nella c.d. Prima Repubblica, un sistema granitico proporzionale con un forte centro ha determinato, nella sostanza, l’esistenza di un unico blocco di governo, senza alcuna alternanza; secondo, un sistema proporzionale senza un forte centro non prospetta in genere un felice epilogo, come avvenne negli anni ‘20-‘30 del secolo scorso.

Francesco Bianco

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