Il medico Paola De Carlo si racconta: "La mia famiglia a Cosenza e io in frontiera al pronto soccorso di Vignola" (VIDEO)

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images Il medico Paola De Carlo si racconta: "La mia famiglia a Cosenza e io in frontiera al pronto soccorso di Vignola" (VIDEO)
Paola De Carlo con il figlio Lorenzo
  30 aprile 2020 20:39

di GIOVANNA BERGANTIN

 Il prima e l’adesso. Dentro o fuori. Se fuori, come? Questo il dilemma amletico che sta tormentato i giorni e poi le notti della settimana appena trascorsa, in restrizione. Ci si sbizzarrisce nelle anticipazioni, ma soprattutto nelle risposte. Le più articolate si leggono, si sciorinano, si approfondiscono e si spiegano per diventare man mano oggetto di discussione, animatissime sui social, entrano nelle telefonate di famiglia, da riprendere nelle chat e videochiamate. In fondo la programmazione futura di molti dipende anche dalle regole che si prospettano a tutti i livelli: comuni, regioni, governo. Nessuno ha la verità in tasca. Ognuno di noi abbraccia la propria teoria, segue le proprie necessità, le proprie convinzioni, opinioni, ma si resiste. Come? Gli ingredienti liberi, le quantità diverse, secondo la mano, “a regola”.

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Le soluzioni, personalizzate.  Intanto fin che si chiacchiera, nulla di rotto, diremmo. Solo, se non fosse che guardando fuori ti trovi in un mondo di paura, di dolore, un tappeto di morti e feriti e di sofferenza da spezzarti il fiato, toglierti l’aria che respiri, senza coronavirus. Perciò progettare il futuro significa: aggrapparsi al bollettino giornaliero dei numeri negli ospedali dove si lotta per vivere e nelle case serrate, per ostacolare l’estensione del contagio. Il resto verrà da sé. E rivediamo i medici negli ospedali, nelle immagini dell’urgenza con o senza il camice, con lo scafandro, con i guanti in lattice e i volti coperti dalla visiera, ritratti chini sui pazienti. Si aspetta, anche noi, la fine del turno per strappare qualche testimonianza direttamente ‘dal fronte’.

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Nello spazio di ‘frontiera’ è operativa Paola De Carlo, medico geriatra, 40 anni, da più di otto al pronto soccorso all’ospedale di Vignola, in provincia di Modena.

“Al momento, i contagi sono in calo, ma comunque gli accessi dei pazienti con casi sospetti non sono diminuiti. Continuiamo a fare i tamponi e risultano ancora molti positivi. Ma sono diminuiti i ricoveri. In ospedale si cerca pian piano di ritornare alla normalità riaprendo i servizi e le sale operatorie per gli interventi programmati, ma il rischio di contagio tra operatori è sempre alto. Si continua a lavorare con le mascherine e sovracamice anche nelle zone ‘pulite’ dell'ospedale’’. L’ospedale mostra che cosa è la battaglia. I rischi, la paura, di fronte ad un mostro che cammina di corpo in corpo e una malattia che non fa sconti a nessuno.

Paola è cosentina, si è laureata e specializzata a Bologna, nella più antica università italiana. Fare il medico era il lavoro dei suoi sogni. L’inizio a Reggio Emilia, poi in provincia di Modena. Ora si trova in prima linea a lottare un nemico invisibile perché. alla fine, di questo virus si è ancora capito poco   “Purtroppo non si è mai sicuri di non essere contagiati, purtroppo i medici e gli operatori sanitari sono la categoria più a rischio; alcuni miei colleghi per scongiurare un possibile contagio si sono trasferiti lontano da casa e vivono da mesi  in hotel o appartamento. Io ho un bimbo, Lorenzo di 5 anni. Con Giorgio, il mio compagno, che lavora in un settore essenziale ed ha continuato per tutto il periodo di lockdown, abbiamo fatto i turni per occuparci del piccolo. Anche correndo dei rischi, non ho potuto allontanarmi da casa”. Racconta con lucida umanità Paola.  “Come operatori a contatto con i pazienti Covid positivi, abbiamo eseguito i test sierologici su indicazione regionale”. Tuttavia continua rassicurante  “In questa struttura tutto il personale indossa i dispositivi di protezione avanzata, quindi tute, visiere, maschere FFP2 per cui non è per niente facile lavorare e creare una comunicazione con il paziente. Inoltre, la paura di non riuscire a vincere il virus resta sempre, avendo osservato che anche persone in buona salute possono avere delle complicanze serie e che le cure intensive possono non avere effetto”. Il racconto descrive senza filtri le preoccupazioni del momento, evidenzia le difficoltà professionali e personali che Paola e i suoi colleghi affrontano tutti i giorni. “Purtroppo è difficile come mamma conciliare tutto e vedo che anche mio figlio risente della mia lontananza, soprattutto adesso che passa intere giornate a casa e la maggior parte delle volte io sono al lavoro”.  Si convive con il timore di contagiare i familiari. L’altra parte della famiglia della dottoressa è a Cosenza, li tiene informati, li tranquillizza per telefono, si scambiano messaggi.

Adesso, al pronto soccorso dell’ospedale di Vignola, nel mezzo di questa grande emergenza sanitaria, qual è la situazione? “Come tutto il nord d'Italia  anche l'Emilia è stata duramente colpita dal Sars-Cov2. Come operatori dell'emergenza siamo sempre stati abituati a lavorare in condizioni difficili, siamo sempre in allerta e ci adattiamo ai cambiamenti, ma questa volta nessuno era preparato. Abbiamo messo in campo tutte le risorse ed  abbiamo cambiato il nostro modo di lavorare creando nuovi percorsi”, racconta Paola. E continua “In particolare, fin dai primi giorni del contagio abbiamo organizzato un punto medico avanzato (PMA), esterno al Pronto Soccorso, in modo da separare la zona ‘pulita’ da quella potenzialmente infetta. Nel PMA venivano accettati e visitati ed eseguiti i tamponi ai pazienti sospetti, successivamente è stata creata una vera e propria struttura esterna per trattare questi pazienti, anche quelli con difficoltà respiratoria, per cui sono state create delle stanze a pressione negativa dov'è possibile dare il supporto respiratorio con la ventilazione non invasiva”. 

Descrive ciò che è stata la vita di questi giorni al pronto soccorso. “La maggior parte dei pazienti aveva sintomatologia lieve per cui veniva dimessa con l'indicazione dell'isolamento domiciliare e la terapia, come da procedura provinciale, che veniva direttamente consegnata  all’ammalato. I pazienti con polmonite da Covid-19, ma stabili, venivano ricoverati nel nostro ospedale, mentre quelli con insufficienza respiratoria venivano trasferiti presso le terapie intensive degli ospedali di secondo livello”. Conferma la dott.ssa De Carlo che questo sistema  ha permesso di  gestire l'afflusso dei pazienti senza far arrivare al collasso la struttura. “Quello che abbiamo imparato in questi mesi è riconoscere la malattia. – continua – Inoltre, sono in corso studi che mostrano l'efficacia della terapia precoce che può evitare le complicanze e l'ospedalizzazione del paziente. Su tale scoperta anche da noi si sta creando una collaborazione tra medici del territorio e medici del pronto soccorso per la gestione domiciliare del paziente Covid-19”. Tanto dolore e tante emozioni, tanti sacrifici accompagnano le giornate di questi combattenti in prima linea per sconfiggere l’epidemia.  Ci chiamano Eroi, ma non esageriamo, questo è il nostro lavoro, minimizza Paola.

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