E se dietro il “no” al Mes, il meccanismo europeo di stabilità, ci fosse la tutela degli interessi della sanità privata, prevalentemente del Nord Italia? Non dimentichiamo che l’unica “condizione“ ora prevista per la concessione dell’ingente prestito europeo è quella che lo stesso venga interamente investito nel comparto sanitario, quello pubblico, evidentemente.
Il Consiglio Europeo, nella riunione dei Capi di Stato e di Governo dell’UE dello scorso 8 maggio, ha concluso e ribadito che l’unica condizione per accedere al Mes sarà che gli Stati membri che chiedono il prestito utilizzino l’importo per finanziare i costi sanitari, diretti e indiretti, di cura e prevenzione, collegati alla crisi dovuta al Covid-19, mentre dal canto suo la Commissione Europea si è impegnata nei confronti dello stesso Eurogruppo a limitare i controlli al coerente e corretto utilizzo delle somme, da parte degli Stati richiedenti, nell’esclusivo ambito della spesa sanitaria.
Nessuna “sorveglianza rafforzata”, dunque, da parte della Commissione, quella tanto temuta tipologia di controllo che il meccanismo del Mes prevede per gli ordinari prestiti agli Stati, la cui procedura può sfociare nell’intervento della cosiddetta Troika (i creditori: Commissione, BCE e FMI), la quale finirebbe per poi esigere politiche di austerità (come tristemente avvenuto in Grecia).
Tuttavia, osservo che temere che le Istituzioni europee esercitino controlli sull’utilizzo di oltre 36 miliardi di euro “esclusivamente nella sanità” rappresenta un vero paradosso, posto che l’emergenza Covid-19 ha inequivocabilmente dimostrato che l’Italia ha urgentemente e straordinariamente bisogno di investimenti proprio nella sanità pubblica e particolarmente, come è stato da tutti sottolineato, nella sanità del Mezzogiorno.
A voler ricordare la frase del Cardinale Marchetti, resa poi celebre da Andreotti “a pensar male del prossimo si fa peccato, ma spesso s’indovina”, viene dunque in mente che le ragioni dei tanti “no” (ma anche i “si” andrebbero monitorati) alla richiesta del Mes da parte dell’Italia potrebbero avere tutt’altra matrice che quella, per così dire, “tecnica”.
Non può sfuggire infatti a nessuno quali siano gli enormi interessi che ruotano attorno alla sanità privata. Intere regioni del Nord Italia hanno costruito le proprie fortune (vi sono anche inchieste in corso) privilegiando il sistema sanitario privato a danno di quello pubblico, a sua volta già favorito dallo Stato, autore di grandi disparità di trattamento nella distribuzione delle risorse ordinarie tra regioni del Nord e regioni del Sud.
Questo perverso meccanismo ha prodotto un enorme drenaggio di risorse, pubbliche e private, dai territori meridionali verso quelli settentrionali, drammaticamente favorito dalla cosiddetta emigrazione sanitaria e, peggio, dai tanti viaggi della speranza. Ne sanno qualcosa i milioni di pazienti che ogni anno percorrono migliaia di chilometri, affrontando indicibili sacrifici economici ed umani, diretti nei grandi ospedali, soprattutto privati, della Lombardia e non solo, dove, oltre ai non esigui costi delle cure, sono costretti a subìre i salassi delle spese logistiche e di mantenimento.
Oggi il Mezzogiorno non può che guardare con favore al Mes proprio perché le somme che si otterrebbero in prestito giungerebbero col “vincolo di utilizzo sanitario” ma anche con speranza, perché questa sarebbe l’occasione unica per riportare in situazione di omogeneità territoriale il sistema sanitario.
Mi auguro perciò che almeno i Parlamentari meridionali, appartenenti a tutte le forze politiche, riflettano sulla questione in un’ottica che non sia solo di contrapposizione partitica ma anche di coerente e leale risposta alle attese delle popolazioni rappresentate.
Antonio Bevacqua
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