di PAOLO CRISTOFARO
Padre e zio della moglie uccisi in un agguato di 'ndrangheta nel 2006. Un cognato in carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso. Lui stesso rinviato a giudizio per aver aiutato alcuni componenti di una cosca ad eludere le norme in materia di misure di prevenzione patrimoniali, “all'uopo adoperandosi nella prestazione di servizi ai villaggi turistici Riviera del Sole [...] e Sun Beach di Squillace da parte della società [...] di fatto riconducibile immediatamente ad esponenti della cosca.” Infine, due controlli ai quali era stato sottoposto mentre si trovava in compagnia di pregiudicati.
Insomma, quanto bastava al prefetto di Catanzaro per spedirgli, il 13 settembre del 2018, all'indirizzo della sua società, con sede a Sellia Marina, un'interdittiva antimafia che il Tar della Calabria ha già confermato, sotto la presidenza del giudice Giancarlo Pennetti (giudice estensore: Francesco Tallaro)
I giudici amministrativi, infatti, con sentenza del 27/12/2019 n°02160 hanno rigettato il ricorso dell'imprenditore di Sellia Marina che, per mano degli avvocati Alessandro Bonavita e Piero Mancuso, avevano impugnato il provvedimento del Prefetto, chiedendone l'annullamento. Inutilmente. Stando a quanto riportato dalla sentenza del Tar, infatti, il pericolo di infiltrazione mafiosa era sussistente, al contrario di quanto sostenuto dal ricorrente, che aveva espresso delle obiezioni rispetto alle deduzioni avanzate.
Ad avviso dell'imprenditore "gli elementi valorizzati dalla Prefettura di Catanzaro sarebbero inidonei a ricavare le conclusioni che l'attività imprenditoriale sia suscettibile di infiltrazione mafiosa" e che "egli non è stato mai condannato per reati ostativi, mentre gli elementi valorizzati [...] sarebbero evanescenti e risalenti nel tempo" e che anzi "in più occasioni è stato egli stesso vittima di reati di impronta mafiosa", per cui "il provvedimento sarebbe carente di un'adeguata motivazione".
Tesi rispedita al mittente dal Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria, che ha rigettato il ricorso dell'imprenditore, condannandolo altresì alle spese di lite nei confronti del Ministero dell'Interno chiamato in causa. con una sentenza che, tuttavia, l'imprenditore non ha perso tempo a impugnare davanti al Consiglio di Stato, determinato a dimostrare l'estraneità della sua azienda alle logiche 'ndranghetistiche così da poter riavviare i motori.
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