di STEFANIA PAPALEO
Lo ha accusato di avere operato in società con un affiliato ai clan vibonesi. Anche di avere aiutato quest'ultimo nel periodo di latitanza dal 2001 al 2011. Ha testimoniato di averli visti insieme negli anni 2003-2004. E le sue dichiarazioni sono state utilizzate dalla Dda di Catanzaro per mandarlo sotto processo con l'accusa di partecipazione ad associazione di stampo mafioso con la ”ndrina di Zungri”, con tanto di condanna riportata davanti al Tribunale di Vibo. Tuttavia, quello di cui i giudici non hanno tenuto conto è stato un totale errore nelle indicazioni temporali da parte del collaboratore di giustizia di Catanzaro, contro il quale è appena scattata una querela per calunnia firmata dall'imprenditore Domenico Cichello (assistito dagli avvocati Piero Chiodo, Luca Cianferoni e Mara Campagnolo).
Carte alle mani, l'imprenditore vuole dimostrare come in tutti gli anni indicati dal pentito per dimostrare la sua collusione con Giuseppe Antonio Accorinti alias "Peppone”, quest’ultimo si trovasse in stato di detenzione intramuraria nell’ambito delle operazioni Dinasty e Decollo, smentendo così le ricostruzioni testimoniali del collaboratore di giustizia che, peraltro, stando sempre alla denuncia, si sarebbe dimostrato inattendibile quando "nell’ambito del processo "Rinascita Scott” aveva dichiarato di non essere a conoscenza di eventuali doti ndranghetistiche in capo al Cichello, per poi, in modo del tutto contraddittorio, un anno dopo riferire nell’ambito del processo "Maestrale-Carthago” cose diametralmente opposte, ossia accusando il Cichello di possedere doti ndranghetistiche dello “sgarro” o della "Camorra”.
Insomma, tanto quanto basta, secondo gli avvocati di Cichello, per riabilitare la figura del proprio assistito, "un imprenditore commerciale - sottolineano - che ha sempre fatto dell’onestà e del lavoro una vera e propria ragione di vita e che nonostante l’ingiusta persecuzione giudiziaria da oltre 20 lunghi anni fino a tutt’oggi subita, non ha mai smesso nemmeno per un istante di credere fermamente nella giustizia e nei suoi tutori, soprattutto di credere nell’onestà intellettuale di quei giudici che, seppur con alterne vicende, nell’anno 2015 dissequestravano tutto il patrimonio aziendale dei coniugi Cichello (azienda agricola e autosalone superauto di Pititto Angela), rigettando la proposta della misura di prevenzione personale e patrimoniale". Da qui l'auspicio per il Cichello "che l’opera di giustizia, già iniziata dai giudici del Tribunale di Vibo Valentia-sez misure reali, venga interamente compiuta dalla Ecc.ma Corte di appello di Catanzaro-sez penale, invocando altresì il cd principio di parità di diritti e chiedendo l’immediato dissequestro e restituzione dell’autosalone "Supercar di Petitto Angela” e dell’azienda agricola, essendo la titolarità di detti beni patrimoniali in capo alla Petitto Angela, soggetto terzo estraneo al processo ed essendo detto reato già prescritto ancor prima dell’esercizio dell’azione penale da parte degli organi di Procura, richiamando il provvedimento di dissequestro adottato nei confronti del coimputato Curello (anch’esso accusato della grave fattispecie associativa di stampo mafiuoso) con posizione identica a quella del Cichello, nei cui confronti il Tribunale di Vibo Valentia ha disposto il dissequestro della Ditta di pompe funebri a seguito della dichiarazione di prescrizione del reato di trasferimento fraudolento di valori contestato nell’ambito del processo Rinascita Scott".
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